“Ho una proposta, per aprire il dibattito. Il passaggio dei giornali al web, che amplia l’audience e diminuisce i fatturati, venga sussidiato alla stregua del passaggio dall’analogico al digitale nella televisione”. Così ha parlato Carlo De Benedetti, presidente del Gruppo l’Espresso , suggerendo alle autorità di garanzia e al legislatore italiano una personale visione su quella che ormai, per molti editori nazionali ed internazionali, è diventata una questione di sopravvivenza: continuare ad operare all’insegna di una informazione di qualità .
In un commento pubblicato dal sito del Sole24Ore De Benedetti è stato particolarmente chiaro nello spiegare come certi tradizionali meccanismi tipici della carta stampata non siano più funzionali e, soprattutto, redditizi. “Con la pubblicità in drammatica diminuzione e le notizie che si possono trovare senza sborsare un centesimo, non funziona più un modello di business messo a punto nella seconda metà dell’Ottocento. Fino a quando – si chiede De Benedetti – gli editori potranno garantire, in queste condizioni, un’informazione verificata e di qualità?”.
De Benedetti si è dunque dimostrato particolarmente preoccupato per le sorti di un giornalismo sempre più costoso da realizzare , a causa di un vasto ampliarsi di quelle che un tempo erano piattaforme uniche (carta, radio o tv) e che ora sono microcosmi d’informazione multimediale, tra news online in costante aggiornamento, mappe interattive, video e fotogallery . In questi microcosmi, tuttavia, agiscono qulle che giganti dell’editoria come Murdoch hanno tratteggiato come creature notturne succhiasangue, meglio note come “operatori di Internet”.
La domanda che ha lanciato De Benedetti è sembrata piuttosto diretta: “Chi ottiene utili da Internet usando il lavoro degli altri?”. Al comandare il branco di vampiri dell’informazione, ancora Google che, stando ai dati mesi in luce da De Benedetti, ha generato nel solo mercato italiano 400 milioni di euro in pubblicità, quasi la metà dell’intero raccolto sul web. Poi, gli operatori di telefonia che, in Italia, gestiscono circa 13 milioni di connessioni ad alta velocità (19,2 ogni 100 abitanti alla fine del 2008, si spiega nel testo).
A questo punto De Benedetti ha citato numeri ufficiali provenienti da Germania e Stati Uniti, che hanno mostrato come oltre il 30 per cento del traffico in Rete sia generato dai siti di quotidiani e reti televisive . È per questo motivo che il prossimo Parlamento tedesco, stando ad un “caso” riportato da De Benedetti, obbligherà ogni azienda a fare il censimento dei propri computer collegati per poi far pagare una tassa mensile di 5 euro. Dritti nelle tasche degli editori.
“Allora – propone De Benedetti – si discuta l’opportunità di girare agli editori, a compensazione della quota del valore creato a vantaggio degli operatori di telefonia, una piccola parte di quanto pagano gli utilizzatori per l’Adsl o per la connessione a Internet in mobilità”. In pratica, il proprietario della piattaforma dovrebbe concedere ai fornitori di contenuti una piccola parte dei propri fatturati .
“Non basterà – ha commentato sul suo blog il giornalista Luca De Biase – se in Italia ci sono 13 milioni di connessioni ad alta velocità che costano in media 20 euro al mese, quanto ne vogliamo dare ai giornali (mica pure alle televisioni, spero)? Un euro al mese sono 13 milioni al mese. Due euro sono 26 milioni. Più di due è difficile”.
E sono poco più di due, esattamente 2,39, gli euro ora richiesti da La Repubblica per l’abbonamento all’applicazione per iPhone La Repubblica Mobile . Il servizio push di news era disponibile gratuitamente tramite App Store, da poco rimosso per far spazio all’applicativo premium. De Benedetti pare consapevole delle obiezioni che scatenerà con le sue dichiarazioni: “Ma credo che la posta in gioco, la sopravvivenza del giornalismo indipendente, giustifichi azioni con carattere d’eccezionalità”.
Mauro Vecchio