Con scadenza ormai stagionale, Carlo De Benedetti scrive a Il Sole 24 Ore : il patron del Gruppo L’Espresso, che comprende tra l’altro il quotidiano cartaceo e la sua controparte online La Repubblica , torna a proporre la sua ricetta per salvare l’editoria e in particolare i giornali dall’ apocalisse di Internet . A distanza di quasi 9 mesi dal suo esordio sull’argomento, le tesi non sono cambiate : i contenuti vanno pagati, su Internet c’è chi ci lucra indebitamente, mettiamo una tassa sulla connessione per recuperare altri introiti.
Dalle parole di De Benedetti si apprende che “L’esperienza del consorzio Premium Publisher Network per la pubblicità a performance, che vede il Gruppo Espresso collaborare con Corriere della Sera, Gazzetta dello Sport, Stampa, Ansa e tanti altri, è tra le più studiate in Europa”. Un successo che dimostra, secondo De Benedetti, che “Gli editori devono superare le antiche rivalità e lavorare insieme, fare appunto sistema. Solo così si contrastano i competitor globali”. E chi sono questi competitor? Ovviamente Google , che “non può sfruttare i contenuti prodotti da altri senza dare nulla in cambio”.
Sono passati mesi, ma la questione è rimasta sempre la stessa: “È un problema che gli editori tedeschi hanno denunciato nei giorni scorsi alle proprie autorità regolatorie, proprio come l’associazione italiana della categoria aveva fatto ad agosto con un esposto all’Antitrust. Google deve restituire una parte del valore immenso creato ogni giorno dai giornalisti, che il motore monetizza grazie alla pubblicità AdSense”. De Benedetti dimentica di ricordare che, tramite servizi come Google News e simili, anche gli editori si giovano del traffico generato dal search di Mountain View . Ma si tratta evidentemente di una dimenticanza veniale.
“Come Google, molti altri soggetti, dagli aggregatori alle rassegne stampa, non rispettano le regole che tutelano i diritti di proprietà intellettuale – continua De Benedetti – Questi diritti devono trovare una definizione legislativa più netta e, soprattutto, ampliarsi. Dobbiamo pertanto rilanciare la protezione del copyright, studiando l’adozione di software e sistemi che consentano un reale controllo dell’uso e del rispetto dei diritti connessi a ciascun contenuto”. La differenza rispetto al passato è che, questa volta, De Benedetti arriva a ipotizzare un ruolo di mediatore tra i diversi interessi svolto da BigG: “Se lo volesse, Google potrebbe così trasformarsi in un equo distributore della ricchezza creata grazie al lavoro altrui; e avremmo bell’e pronto il sistema di pagamento universale”.
Anche in questo caso, c’è un tarlo che rode la tesi dell’editore di Repubblica: ovvero che il suo stesso giornale e altri della concorrenza (e non solo), in più occasioni, sono stati pizzicati a giovarsi di contenuti altrui senza rispettare il principio di attribuzione o riconoscere il giusto compenso agli autori originali. Qualche volta , anche “consultando” repository tematici su Internet per utilizzarli in media “più tradizionali”. Senza dimenticare che l’affermazione di De Benedetti “Finora non era così, nel senso che tutto quanto immagazzinato nei server dell’azienda di Mountain View era, per definizione, fruibile gratuitamente online” denota come non tutti abbiano ancora completamente compreso i meccanismi (anche tecnici) di funzionamento della Rete: Google indicizza, non replica (a meno di casi particolari).
Le tesi di De Benedetti, d’altronde, ricalcano in tutto e per tutto quelle dei discografici e delle major di Hollywood , replicate allo sfinimento in questi anni: di fronte a un mercato che cambia, a una platea mutevole e con esigenze differenti, i detentori dei diritti hanno deciso spesso di tentare il muro contro muro, provando a ostacolare un cambiamento inevitabile e inarrestabile che li ha visti semplici spettatori invece che protagonisti. Mentre gentaglia come Cory Doctorow e gli altri scagnozzi di EFF e FSF continuavano a mettere in guardia tutti dal DRM e da ogni tentativo di ostacolare la circolazione della cultura, di volta in volta le scelte di chi ha controllato fino a 10 anni fa questi mercati sono andate verso la creazione di scatole dentro cui infilare un prodotto. Dimenticandosi, però, che in Rete non esistono né scatole né prodotti: la replica di un vecchio modello di business è destinata a fallire.
Tanto più, come ricordava mesi or sono Massimo Mantellini su queste stesse pagine, che se un film, una canzone, un libro, hanno un valore tangibile nel tempo, la fruizione di notizie di attualità è più annoverabile nel concetto dell’usa e getta : non ci sono “code lunghe” che tengano, e davanti ad alternative tra gratuito e a pagamento , gli utenti sceglieranno sempre la prima opzione. Perché “su Internet” non ci sono monete da scambiare con l’edicolante, non ci si porta a casa un pezzo di carta: basta un clic per passare ad altro, bastano frazioni infinitesime per confrontare originali e copie, fonti e commenti, per effettuare rassegne stampa in proprio.
La reazione di quelli che qualcuno ha definito “dinosauri” dei contenuti – e si badi bene che sono loro a definire quello che vendono o che provano a vendere “contenuti”: noi continuiamo e continueremo a chiamarla “cultura”, o nel gergo digitale “informazione” – è sempre la stessa: davanti hanno la prospettiva di veder ridotti i propri margini, e non ci stanno. Di fronte alla prospettiva di veder ridimensionati i propri guadagni si chiudono a riccio: e arrivano a proporre di tassare la connessione per ripianare queste potenziali perdite.
Vale a dire che, in un paese dove non si trovano i soldi per avviare il passaggio alle reti di nuova generazione , l’idea è quella di gravare le tariffe di un ulteriore balzello per tenere in piedi un business altro. Alla fine di tutto, De Benedetti riesce a partorire l’ equo compenso per l’editoria : se io, mettiamo il caso, la connessione la uso solo per mettere online le mie foto delle vacanze, devo pagare 1, 2, 5 euro per tenere in vita i giornali. Ma, siccome potenzialmente potrebbe capitarmi di leggere un giornale online, allora devo pagare a priori. Tutto per il bene dell’informazione libera e di qualità.
Luca Annunziata