Corrado Calabrò, Presidente dell’Autorità garante delle comunicazioni, è stato ascoltato dalla commissione Lavori pubblici del Senato: al centro del suo intervento il decreto Romani , che ha agitato i netizen italiani e che ieri è arrivato in Parlamento per ricevere un parere non vincolante da parte di senatori e deputati.
Il vertice dell’Agcom ha espresso vari dubbi sul testo presentato alle camere: ha innanzitutto sottolineato come la delega in materia riconosciuta all’esecutivo fosse “molto, molto ampia, con molto pochi criteri direttivi e molto poco dettagliati”. Ha quindi rivendicato “il ruolo e la funzione regolatrice” dell’Agcom, che – secondo la sua analisi – risulterebbe frammentata dal decreto se non addirittura sottratta di alcune competenze. Calabrò si riferisce alle possibili incomprensioni che potrebbe generare il testo ed in particolare la “bipartizione di competenze”, dal momento che le autorizzazioni satellitari passerebbero sotto il controllo dell’esecutivo, nonché la definizione programma/palinsesto adottata dal decreto, difforme a quella utilizzata in ambito comunitario. “Tali definizioni vengono utilizzate per disciplinare la pubblicità, le sponsorizzazioni e anche l’autopromozione televisiva”. Ulteriori problemi di interpretazione si potrebbero creare inoltre “nell’applicazione delle norme antitrust”.
Alla disciplina europea si rifà il Presidente Agcom anche per sottolineare come alcune definizioni in sede europea siano state il frutto di “una soluzione di compromesso che stabilisce come interventi repressivi sono possibili purché proporzionali e sempre ex post. Non è cioè consentito un filtro preventivo”. E come nella proposta del Governo “ci sono aspetti che vanno riconsiderati perché non perfettamente coerenti con la direttiva europea”. La volontà del decreto di introdurre un’autorizzazione preventiva per l’online “rischierebbe di trasformare quest’ultima in un filtro burocratico”. Meglio sarebbe, aggiunge, “restare sulla linea di intervento europeo”. Anche per non rischiare che l’Italia diventi “un caso unico nel mondo occidentale a causa dell’articolo 17 che introduce un’apposita autorizzazione per la diffusione continua in diretta e su internet”.
La stessa Commissione Europea dovrebbe presto aprire una procedura d’infrazione contro l’Italia per la mancata notifica , attesa entro il 19 dicembre scorso, del decreto che recepisce la direttiva UE in materia di audiovisivi. Secondo alcune fonti Bruxelles sarebbe inoltre intenzionata a procedere nei confronti dell’Italia per alcune perplessità proprio sulle nuove responsabilità che il decreto impone agli ISP, ma anche a servizi come YouTube: “la direttiva europea sul commercio elettronico vieta obblighi di monitoraggio preventivo da parte dei service provider, come stabilisce invece il decreto legislativo”, spiegherebbe una delle fonti interne all’UE. Tuttavia quest’ultima eventualità è stata in parte smentita dal Commissario europeo alle Telecomunicazioni Viviane Reding che ha riferito che non si starebbe visionando il decreto.
Contro l’iniziativa del Governo è stata presentata alla Camera, poche ore prima dell’intervento di Calabrò, anche una proposta dell’opposizione (scritto da parlamentari PD, IDV, UDC): il testo, modificato in Rete attraverso Facebook, Word press e wiki, sembrerebbe avere i toni di un appello che vuole recepire le istanze circolate finora tra i netizen.
Da un lato ribadisce l’ importanza della Rete : “un bene comune e un fondamentale diritto costituzionale” e la necessità di “garantire la neutralità delle reti di comunicazione, la diffusione delle nuove tecnologie telematiche e lo sviluppo del software aperto”, nonché la promozione della banda larga sull’intero territorio nazionale, incentivare l’informatizzazione della Pubblica Amministrazione e del mondo dell’università e della ricerca e rafforzare la democrazia in Rete. Dall’altro, critica le norme del Decreto Romani ritenute lesive della libertà di Internet e quelle in materia di copyright, su tutti l’obbligo di rettifica dei videoblog e la richiesta obbligatoria di autorizzazione ministeriale per i video della Rete.
Critiche, inoltre, sono arrivate da Sky Italia preoccupata dei tetti alla pubblicità per la pay tv che il Governo vorrebbe imporre: “non si comprende la necessità di un intervento legislativo sul classico processo di domanda e offerta che va lasciato al mercato”, ha detto Andrea Scrosati, vice presidente Corporate e Market Communication di Sky. Dubbi sono arrivati, d’altra parte, anche dagli osservatori statunitensi: hanno sollevato dubbi sul decreto Romani definito “anti YouTube”. L’Italia rischia, nelle parole di Calabrò, di divenire “un caso unico nel mondo occidentale”.
Claudio Tamburrino