Romani, viceministro delle Comunicazioni e ispiratore del decreto di conversione della direttiva europea sui servizi media audiovisivi, ha espresso rammarico per le critiche del Presidente dell’Authority per le telecomunicazioni, che avrebbe dovuto confrontarsi con il Governo “prima di prendere una posizione ufficiale” e senza quei “toni, spesso accesi”.
Il vertice dell’Agcom, secondo il viceministro Romani, avrebbe infatti dovuto agire in quello “spirito collaborativo e costruttivo, nel rispetto delle rispettive competenze” all’insegna del quale si erano attenuti i comportamenti del Governo “rispetto all’Autorità, alla sua indipendenza e alla sua competenza”. Calabrò, da parte sua, presentando le sue osservazioni in un’occasione istituzionale come l’audizione in Parlamento, aveva lamentato proprio l’assenza di consultazione da parte del Governo.
A disturbare il viceministro sarebbero poi, in particolare, le osservazioni dell’Agcom “che inopinatamente accostano l’intervento del governo a regimi autoritari”. E riferendosi agli esempi tirati in ballo (su tutti la Cina) dichiara che “non abbiamo nessuna intenzione di avvicinare il Paese a modelli di questo tipo”. Niente censura, spiega, ma solo la volontà di affrontare la questione dello sfruttamento commerciale di video realizzati da terzi e resi disponibili on demand: “riteniamo che questo tipo di servizio debba essere assimilato al video on demand tradizionale”. Anche la direttiva UE , entrando nel merito, assimilerebbe “le web tv e il live streaming alla televisione”. E in questo senso è da intendere la scelta di prevedere la responsabilità editoriale per i siti con video on demand , “prevedendo un catalogo di contenuti sfruttati a fini commerciali”: non di una forma di censura, quindi, ma “semplicemente di aspetti amministrativi”. Esprime, dunque, la possibilità che su questo punto il testo venga meglio precisato.
Marcia indietro, invece, solo sulle quote di investimento destinate all’audiovisivo (quindi solo per alcune parti sulla televisione). Domani, in ogni caso, il Consiglio dei Ministri delibererà sul decreto.
Entro quel momento si attendono i pareri di Camera e Senato . Paolo Gentiloni, ex Ministro e ora responsabile comunicazioni del PD, ha criticato le parole di Romani: “invece di polemizzare, il Governo dovrebbe accogliere le critiche dell’Authority che ha definito le nuove regole per il web un unicum nel mondo occidentale “. L’opposizione presenterà quindi un parere di minoranza. Nella stessa maggioranza si levano le voci difformi: Bruno Murgia, deputato PDL, ha definito il decreto “assolutamente da rivedere”. Anche Luca Barbereschi , portavoce degli ex AN, dichiara che loro voteranno contro, aggiungendo che “è una follia, talmente legata a interessi particolari che lascia senza parole”.
Contro il decreto si è espressa anche IAB , ascoltata dalla Commissione Lavori Pubblici del Senato in qualità di rappresentante degli operatori del mercato interessato dal decreto in discussione. Invece di una stretta dall’altro, IAB ha chiesto di favorire lo sviluppo di un codice di autoregolamentazione attraverso cui combattere i contenuti illegali in Rete.
Negli Stati Uniti, intanto, il dibattito sul decreto arriva anche sulle pagine del Time , che disegna il quadro di una classe dirigente “incapace di comprendere la rivoluzione di Internet”, spaventata dai nuovi mezzi e dalla concorrenza che essi pongono ai media tradizionali. Si fa esplicito riferimento al Premier Berlusconi e alla “mediocracy” che vige in Italia, situazione in la causa che vede Mediaset citare in giudizio YouTube sarebbe esemplare.
Claudio Tamburrino