Roma – Sul Decreto Landolfi che ha liberalizzato quasi completamente la diffusione del Wi-Fi sul territorio nazionale ho visto come sia Marco A. Calamari che Guido Villa abbiano giustamente sottolineato i buoni propositi del nuovo provvedimento. Ma rimangono irrisolte alcune questioni fondamentali, una delle quali è la reale efficacia di questo decreto nello sbloccare la situazione di stallo della copertura a banda larga del territorio nazionale . I dati evidenziati dallo studio i2010 sulla copertura delle zone rurali (40% in Italia contro una media europea del 60%) e sui progressi compiuti nell’ultimo anno (gennaio 2004 – gennaio 2005) collocano tutt’ora il nostro Paese in fondo alla graduatoria EU15.
Errori strategici ce ne sono stati, come aver consentito ad un unico operatore di fare il bello e il cattivo tempo sul mercato, ma non è corretto lasciare il libero utilizzo dello spettro radio in mano ai privati cittadini, in quanto si andrebbe a creare un eccessivo sfruttamento di una risorsa (che è lo spettro radio) tanto scarsa quanto importante. Soprattutto non sarebbero attuabili le prerogative di sicurezza , di controllo e di verifica che il recente provvedimento cosiddetto “Pisanu” impone: in questo momento storico non possiamo di certo permettere che venga creata una rete dalle potenzialità non limitabili considerato che non disponiamo di strumenti adeguati ad un efficace controllo.
Detto questo comunque, a mio modesto avviso, ritengo che alla liberalizzazione del settore, obiettivo primario del provvedimento in questione, il Ministro Landolfi non abbia saputo accompagnare una strategia sinergica che lasci intravedere una soluzione per quei 15-20 milioni di italiani che sono attualmente tagliati fuori dall’accesso a banda larga. Il Ministro ha firmato il decreto accogliendo le istanze delle associazioni dei provider ma ha di fatto scaricato sulle imprese private l’onere della soluzione del problema di cui sopra, dimenticando che l’accesso a banda larga oggi non è più uno status symbol, un privilegio, ma è una necessità per privati e imprese di tutta Italia.
Temo che ancora una volta si sia persa l’occasione per agire con efficacia e lungimiranza.
Contro l’abitudine diffusa di scagliarsi contro le lobby e gli operatori di TLC più noti è bene ricordare che talvolta è proprio da un’ azione sinergica con tali soggetti che si possono risolvere problemi anche di ampia portata che la pubblica amministrazione non riesce da sola ad affrontare, forse anche per questioni di priorità vista la situazione di emergenza economica che vive il nostro Paese in questa fase congiunturale e la cronica carenza di fondi. Inoltre, non è sempre detto che la liberalizzazione di un mercato porti reali vantaggi e non abbia controindicazioni : è facilmente ipotizzabile la creazione di un mercato spezzettato, con zone coperte da dozzine di hot-spot di operatori diversi e zone totalmente prive, con pochi reali vantaggi per tutti.
La concorrenza, a mio parere, non si ottiene in questo modo. La concorrenza si sviluppa in un grande mercato dove i piccoli vivono di specializzazione, ed i grandi di grossi numeri, infrastrutture e investimenti massicci.
Per il Wi-Fi in Italia occorrono investimenti sostanziosi e piani di sviluppo, servono operatori in grado di raggiungere alternativamente posizioni dominanti sul mercato che possano a loro volta vendere i loro servizi ad operatori più piccoli (utilizzando il modello wholesale) che con un valore aggiunto determinato dai servizi e/o dalla specializzazione sono in grado di commercializzare i loro prodotti a prezzi vantaggiosi per l’utenza finale. Non serve a nessuno che Milano sia coperta da quattro operatori via cavo e una dozzina operatori Wi-Fi che si sovrappongono con le loro reti , e dall’altra parte ci siano ampie e diffuse zone del Paese che nella migliore delle ipotesi saranno coperte da un Wi-Fi traballante che funziona a giorni alterni, magari in balia degli eventi meteorologici.
Lo Stato infine ha anche perso l’occasione di realizzare, attraverso questa liberalizzazione, delle entrate considerevoli utilizzando il sistema di licenze (usato per la telefonia mobile). Le entrate sarebbero potute essere destinate ad esempio ad Infratel che avrebbe potuto a sua volta disinvestire nel mercato della rete di accesso tradizionale (via cavo) e proporsi come operatore Wi-Fi nelle zone dove altri provider si dimenticheranno comunque di affacciarsi. E’ il principio della sussidiarietà , tanto sbandierato a livello comunitario ma evidentemente poco apprezzato nel nostro Paese.
Enrico Di Stefano