Uno degli impieghi meno nobili dell’intelligenza artificiale, di cui già oggi possiamo valutare l’impatto, è quello legato al fenomeno deepfake. Da qualcuno ritenuto in prospettiva un vero e proprio pericolo per la società, si è iniziato a parlarne all’inizio dello scorso anno con la comparsa in Rete di alcuni contenuti pornografici generati da algoritmi in grado di applicare il viso di una celebrità al corpo di un’attrice (o di un attore) presente in scene destinate a un pubblico esclusivamente adulto. Tra le prime vittime la star di Hollywood più pagata del 2018 (40,5 milioni di dollari), Scarlett Johansson.
Scarlett Johansson e il fake porn
Già interessata ormai quasi un decennio fa del furto di contenuti privati da parte di Christopher Chaney, che per aver sottratto immagini e video ad alcune decine di VIP condividendoli poi online è stato condannato a dieci anni di reclusione, ha rilasciato sulle pagine del Washington Post un’intervista in cui emerge tutta la frustrazione legata al non poter contrastare in modo efficace la distribuzione del cosiddetto fake porn. Non si fa in tempo a chiedere e ottenere l’eliminazione di un filmato da una piattaforma che ne spuntano altri su siti alternativi. Insomma, una battaglia persa in partenza.
Penso sia uno sforzo inutile, dal punto di vista legale, perché Internet è un enorme cunicolo spazio-temporale oscuro che ingurgita se stesso.
Il dito è puntato anche nei confronti di un’eccessiva frammentazione delle normative che regolano l’ambito online. Fattore a cui va aggiunta la difficoltà nel risalire all’autore di un contenuto e ai responsabili delle sue successive condivisioni.
Ogni paese ha il suo impianto legale per quanto riguarda la tutela dell’immagine, dunque se anche si è in grado di oscurare dei siti negli Stati Uniti perché utilizzano il proprio viso, le stesse regole potrebbero non essere applicabili in Germania. Anche se le immagini in proprio possesso sono coperte da copyright, accade di non poter far nulla oltreoceano. Mi sono tristemente trovata in questa situazione molte, troppe volte.
La rassegnazione della Johansson è ben riassunta e sintetizzata in un passaggio dell’intervista.
Il fatto è che provare a proteggere se stessi da Internet e dalla sua depravazione si rivela sostanzialmente, nella maggior parte dei casi, una causa persa.
Un problema che se oggi riguarda per ragioni ben comprensibili solo coloro che essendo costantemente sotto i riflettori possono fregiarsi dell’etichetta di VIP, presto potrebbe interessare tutti, complice un’evoluzione piuttosto rapida di strumenti come FakeApp che permettono a chiunque, anche senza alcun tipo di formazione tecnica, di creare deepfake.
Come già fatto in passato affrontando il tema, proponiamo qui sopra la visione di un filmato condiviso nella scorsa primavera, in cui una versione fittizia ma quasi insospettabile dell’ex presidente Obama invita a innalzare il livello di attenzione quando si tratta di valutare la veridicità delle informazioni trovate online.