Deepfake sofisticati sfuggono al riconoscimento facciale

Deepfake sofisticati sfuggono al riconoscimento facciale

I deepfake generati con l'AI sono così sofisticati da eludere i sistemi di riconoscimento facciale più avanzati. Un rischio per i dati personali.
Deepfake sofisticati sfuggono al riconoscimento facciale
I deepfake generati con l'AI sono così sofisticati da eludere i sistemi di riconoscimento facciale più avanzati. Un rischio per i dati personali.

Incontrare un sosia è già di per sé un’esperienza straniante. Ma sarebbe ancora più impressionante se questo sosia non fosse una persona, ma una copia digitale perfetta di noi stessi, creata con l’intelligenza artificiale… e – ancora peggio – se ne andasse in giro a compiere azioni illegali o dannose. Sarebbe un po’ come avere un gemello cattivo che rovina la nostra reputazione.

Gli hacker non dormono: attacchi sempre più sofisticati con l’AI

Sia chiaro, l’intelligenza artificiale in sé non è una minaccia. Anzi, può essere uno strumento prezioso per semplificarci la vita. Pensiamo a Siri, Alexa, ai filtri di Instagram che ci fanno sembrare tutti più belli e attraenti. Ma come ogni tecnologia potente, l’AI può anche essere usata per scopi poco nobili.

Ed è qui che entrano in gioco i deepfake: immagini o video generati da un algoritmo, che riproducono il volto, la voce e le espressioni di una persona reale. E lo fanno in modo talmente credibile, da ingannare anche l’occhio più allenato.

Realizzare un deepfake fino a qualche anno fa non era così facile. Servivano competenze informatiche avanzate e ore e ore di lavoro. Oggi, l’intelligenza artificiale, ha semplificato tragicamente le cose. Bastano pochi clic e una manciata di foto rubate dai social per creare un fake che nemmeno la propria mamma saprebbe distinguere dall’originale…

Il lato oscuro del selfie

Ma come funzionano i sistemi di riconoscimento facciale? Quelli che usiamo per sbloccare lo smartphone, per autorizzare un bonifico, per passare i controlli in aeroporto? In soldoni, una telecamera cattura la nostra immagine e la confronta con una serie di dati biometrici pre-registrati. Se i due set combaciano, bingo! Identità verificata.

Ora, immaginiamo che un abile truffatore riesca a infiltrare un deepfake nel database di una banca o di un ente governativo. All’improvviso, la nostra faccia non è più solo nostra. E quel selfie scattato in vacanza potrebbe trasformarsi in un lasciapassare per svuotarci il conto o rubare i propri dati personali.

Fantascienza? Purtroppo, no. Gli esperti di cybersicurezza lanciano l’allarme da mesi: i deepfake stanno diventando sempre più difficili da smascherare, anche per i software più sofisticati. E i criminali informatici non vedono l’ora di approfittarne.

Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio

Quindi, che fare? Rinunciare a condividere le foto online e tornare ai vecchi Nokia 3310? Beh, un po’ di sana diffidenza non guasterebbe. Prima di postare selfie a raffica su Instagram o di dare accesso alla camera a ogni app che lo chiede, forse bisognerebbe pensarci un attimo.

Ma la vera sfida è per chi gestisce i nostri dati sensibili. Banche, assicurazioni, piattaforme di e-commerce, PA: è qui che servono protocolli di sicurezza a prova di hacker. Autenticazione a più fattori, crittografia end-to-end, aggiornamenti continui: l’arsenale di difesa deve essere sempre un passo avanti rispetto a quello di attacco. Perché in questa partita a scacchi digitale, perdere significa veder compromessa la propria identità.

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Pubblicato il
16 dic 2024
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