New York (USA) – L’avevano detto e l’hanno fatto: la Recording Industry Association of America, RIAA per gli amici, ha formalmente denunciato i primi 261 utenti di sistemi peer-to-peer, persone accusate di aver posto in condivisione su internet file protetti da copyright.
Nonostante si sia dinanzi al primo vero e proprio attacco ad alzo zero contro i singoli utenti dei sistemi di file sharing, la RIAA sembra intenzionata a minimizzare nei limiti del possibile, anche per non provocare la suscettibilità di milioni di persone che sono anche compratori di CD. Il presidente RIAA, Cary Sherman , si è spinto a dichiarare che il ricorso alle denunce non va visto come un accanimento contro gli utenti. “Il nostro scopo – ha dichiarato – non è quello di eseguire vendette o ripicche. E’ solo il tentativo di fermare gli utenti del peer-to-peer dall’offrire musica che non appartiene loro”.
In realtà, da minimizzare c’è ben poco se si pensa che a ciascuno dei denunciati RIAA potrà chiedere durante i processi fino a 150mila dollari per ciascuna violazione . Una cifra che, moltiplicata per le ripetute violazioni in cui sarebbero incorsi gli utenti P2P, potrebbe facilmente raggiungere ineffabili quote. Secondo RIAA, infatti, mediamente ciascuno dei 261 ha condiviso illegalmente circa mille brani, e per ogni brano viene contestata una violazione alla legge americana sul diritto d’autore.
Gli osservatori ritengono comunque che quella montagna di denaro non verrà chiesta agli utenti: è più probabile che si raggiunga, prima della fine del processo, una serie di accordi extragiudiziali per somme ben più ragionevoli. Lo stesso Sherman ha parlato di alcuni casi di accordi già raggiunti, per somme che girano attorno ai 3mila dollari a brano.
La battaglia in tribunale, per gli utenti che vi arriveranno, si annuncia tutta in salita. RIAA sostiene infatti di avere “prove certe” che determinati computer sono stati connessi al peer-to-peer per condividere migliaia di brani: una posizione che, se confermata dalle prove, può aggravare la posizione di ogni singolo utente, qui visto come un distributore non autorizzato di musica . Va da sé, comunque, come ha sottolineato la Electronic Frontier Foundation , che sono molti i contesti in cui non può essere provato chi, per esempio in una famiglia, abbia effettivamente usato il P2P. Allo stesso modo, dicono quelli della EFF, non è chiaro come la RIAA si potrà comportare nel caso di account internet individuati come “colpevoli” ma condivisi da una molteplicità di persone.
Sia come sia, RIAA ha comunque già confermato che nelle prossime settimane e mesi continuerà a formalizzare le denunce per gli utenti del peer-to-peer che ha individuato online e dei quali ha ottenuto nome e cognome dai rispettivi provider di accesso.
Intanto, sul fronte della cosiddetta amnistia per chi si pente , una sorta di “perdono anticipato” annunciato dalla RIAA per chi si libererà di tutti i materiali illegali scaricati da internet e farà atto di contrizione, la Electronic Frontier Foundation ha avvertito gli americani: non auto-denunciatevi.
Secondo la EFF , per chi ha condiviso file nei sistemi di scambio non è una buona idea ammettere le proprie colpe in una lettera alle case discografiche, in particolare perché sebbene la RIAA disponga di alcuni elementi e prove, sono moltissimi i casi non documentati né documentabili. “Mettersi sotto i riflettori per ammettere le proprie colpe – ha sottolineato uno dei legali della EFF – non è probabilmente la strada migliore per chi condivide musica in rete, anche perché la RIAA non ha altri elementi per conoscere molti comportamenti che possono dare origine a denunce”.