Si parla molto in queste ore della “Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee” (CNAPI), ossia le aree individuate dalla SOGIN per la realizzazione del cosiddetto “Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi“. Il dibattito è deflagrato, come da previsione, sulla scia delle proteste di tutte le zone coinvolte: nessuno vuole un’emissione del Deposito Nazionale vicino a casa propria e dunque tutti coloro i quali sono oggi vicini ad uno qualsiasi dei 67 luoghi potenziali identificati è ora pronto a stracciarsi le vesta pur di evitare questa minaccia.
Il dibattito non ha però ancora affrontato due snodi importanti: il primo è la reale comprensione di cosa sia un Deposito, quali rischi contempli e come si possa lavorare per identificare realmente le aree potenziali di maggior efficacia; il secondo è un dibattito più sereno sul nucleare, visto che molti di quanti oggi vorrebbero evitare un deposito sono stati al tempo stesso favorevoli ad un ripristino del nucleare nonostante l’Italia abbia già espresso la propria volontà popolare con un referendum passato alla storia.
Mentre il secondo punto dovrà emergere da uno scambio dialogico tra istituzioni, il primo è importante soprattutto per i cittadini, affinché chiunque possa farsi un’opinione informata senza lasciarsi coinvolgere nella polarizzazione del “pro” o “contro” una realtà che va anzitutto capita.
Deposito Nazionale e Parco Tecnologico
Per “Deposito Nazionale” si intende “un’infrastruttura ambientale di superficie che permetterà di sistemare definitivamente in sicurezza i rifiuti radioattivi, oggi stoccati all’interno di decine di depositi temporanei presenti nel Paese, prodotti dall’esercizio e dallo smantellamento degli impianti nucleari e dalle quotidiane attività di medicina nucleare, industria e ricerca“. La definizione è tratta direttamente dal sito ufficiale pubblicato dalla Sogin per informare tutti su ciò che si intende andare a realizzare in ottemperanza alle indicazioni provenienti dall’UE.
L’Unione Europea (articolo 4 della Direttiva 2011/70) prevede che la sistemazione definitiva dei rifiuti radioattivi avvenga nello Stato membro in cui sono stati generati. La maggior parte dei Paesi europei si è dotata o si sta dotando di depositi per mettere in sicurezza i propri rifiuti a molto bassa e bassa attività.
Il deposito ha una finalità precisa: lo stoccaggio di rifiuti radioattivi (con vari livelli di attività) prima di un successivo trasferimento “in un deposito geologico idoneo alla loro sistemazione definitiva“. I rifiuti saranno stoccati anzitutto all’interno di un manufatto protettivo metallico, pensato per dotare massima stabilità chimica e fisica. Ogni manufatto sarà immediatamente immerso in un calcestruzzo speciale. Tali elementi saranno quindi inseriti all’interno di moduli di calcestruzzo (3m x 2m x 1,7m) trasportabili e stoccabili con facilità. Una terza barriera di calcestruzzo armato proteggerà l’intero stoccaggio costituito da 90 celle complessive in file accostate.
Il tutto sarà infine coperto da una collina multistrato che, oltre a rappresentare un’ulteriore protezione (soprattutto a livello di drenaggio delle acque), nasconderà definitivamente alla vista il deposito.
Il Deposito Nazionale, terminata la sua capacità recettiva, verrà chiuso ed entrerà nell’esercizio di solo monitoraggio (fase di controllo istituzionale), della durata di almeno 300 anni, per poi essere rilasciato privo di vincoli di natura radiologica.
https://www.youtube.com/watch?v=7rvWFmmEmj4&feature=emb_title
Ogni sede identificata dovrà mettere a disposizione 150 ettari complessivi di terreno: 110 ettari saranno dedicati al deposito, mentre i 40 ettari residui saranno occupati da un “Parco tecnologico“, ossia un “centro di ricerca applicata e di formazione nel campo del decommissioning nucleare, della gestione dei rifiuti radioattivi e della radioprotezione, oltre che della salvaguardia ambientale“.
Tali studi avranno il duplice obiettivo di stimolare l’innovazione scientifica e tecnologica dell’industria nazionale e costituire un polo di attrazione per occupazione qualificata. Oltre a un centro studi e sperimentazioni, il progetto prevede un laboratorio ambientale e una scuola di formazione. Le attività di ricerca da svolgere al suo interno saranno concordate con le comunità che vorranno ospitare il Deposito Nazionale, con l’obiettivo di valorizzare le caratteristiche e le vocazioni del territorio, favorendone lo sviluppo economico e industriale. […] La ricerca sul decommissioning e la gestione dei rifiuti radioattivi permetterà, ad esempio, di sviluppare nuove tecnologie per ottimizzare i processi di smantellamento, migliorare la sicurezza degli operatori e minimizzare i volumi dei rifiuti che continueranno a essere prodotti nel nostro Paese.
Se il Deposito si occupa di congelare i problemi del passato, insomma, il Parco Tecnologico avrà lo scopo di studiare le soluzioni per il futuro, trovando nuovi modus operandi efficienti. Queste attività saranno peraltro finanziate da una “minima quota della componente A2RIM della bolletta elettrica. Il Parco Tecnologico opera in sinergia con il Deposito e rappresenta uno dei valori che il progetto conta di riversare sui territori, offrendo opportunità formative e impieghi a stretta correlazione con le attività del deposito stesso.
Quali aree ospiteranno i depositi per rifiuti radioattivi?
I territori che “subiranno” la scelta (perché questo è: per consensuale, dibattuta o combattuta che sia, si tratterà di una scelta che i territori dovranno subire nel nome di un interesse generale) avranno una serie di benefici ancora in via di formalizzazione. Questi benefici sono costituiti tanto dagli indennizzi in fase di definizione, quanto dai posti di lavoro previsti (4000 unità per 4 anni durante la costruzione, 700 a regime):
tutti i paesi nei quali è in corso la realizzazione di depositi per i rifiuti radioattivi hanno adottato un sistema di benefici diretti e indiretti per le comunità che ospitano questi impianti, non solo come indennizzo per la porzione di territorio che sarà occupata per un lungo periodo, ma anche per riconoscere una forma di valore aggiunto alle comunità che accettano di partecipare alla realizzazione di un servizio essenziale per lo sviluppo del Paese.
I criteri utilizzati per la scelta delle sedi potenziali del deposito distribuito sul territorio sono stati così illustrati da Sogin in un apposito video pubblicato già nel lontano 2015:
https://www.youtube.com/watch?v=4oTeqoLtJBU&feature=emb_title
I criteri macroscopici sono di chiara comprensione: si intende favorire la scelta di quelle zone in cui il rischio idrogeologico è inferiore, così come il rischio sismico e vulcanico, affinché si possa garantire una resistenza di lungo periodo sul deposito in edificazione. Complessivamente sono 15 i criteri di esclusione e 13 i criteri di approfondimento, affidando questa disamina all’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (ISIN).
Le aree identificate
Queste le aree identificate ad oggi:
Chi fosse interessato a mappe di maggior dettaglio, può fare affidamento alle seguenti tavole ufficiali (comprensive delle specifiche sulle analisi geologiche, naturalistiche e antropiche che hanno portato alla scelta):
- Proposta di Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee Tav 1
- Proposta di Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee Tav 2
- Proposta di Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee Tav 3
- Proposta di Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee Tav 4
- Proposta di Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee Tav 5
- Proposta di Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee Tav 6
Le modalità di trasporto dei rifiuti nei singoli depositi saranno definite soltanto in una seconda fase: “In base all’ubicazione del sito, si valuterà l’adozione di trasporti stradali, ferroviari e/o marittimi“. Il trasporto durerà 40 anni circa, con maggior incidenza sui primi 20 anni, dopodiché il deposito potrà considerarsi esaurito.
Sicurezza
Secondo quanto affermato da Sogin, il progetto è garantito per i 40 anni di sviluppo e per i successivi 300. Al termine di questo periodo, una eventuale radioattività residua non inciderà sulla radioattività naturale di fondo: sarà dunque a livelli trascurabili. Inevitabilmente le promesse di lungo periodo incidono poco sulla sensibilità di quanti preferirebbero sapere lontani da casa questi depositi, ma il sito ufficiale contiene tutte le specifiche utili a formarsi un’idea approfondita sulle misure di sicurezza previste e sui paradigmi alla base delle scelte effettuate.
Un sistema di controllo e monitoraggio verificherà, da prima della fase di costruzione e anche dopo la chiusura, la qualità dell’acqua, dell’aria e della catena alimentare, in linea con quanto avviene negli altri Paesi, nei quali i depositi dei rifiuti radioattivi sono a pochi chilometri di distanza dai centri abitati.
Ogni eventuale polemica politica sulla mappa e sulle dislocazioni dovrà pertanto giocoforza attingere a questi dati per non diventare mera strumentalizzazione: soltanto una scelta fermamente anti-nucleare può portare argomenti a favore di quanti vorrebbero scegliere sedi differenti per lo stoccaggio delle scorie; in caso contrario, trattandosi di materiale prodotto sul nostro territorio, resta la necessità di uno smaltimento coordinato che, nell’interesse di tutti, dovrà essere organizzato secondo criteri di massima sicurezza.