A muoversi compatti saranno i cosiddetti cani da guardia della privacy, nel tentativo di azzannare certe forme di gestione del più vasto ecosistema social del web. I rappresentanti del gruppo europeo Article 29 Data Protection Working Party inizieranno così ad analizzare nel dettaglio il nuovo servizio annunciato da Facebook per il riconoscimento facciale di milioni di utenti .
Una feature che ha subito scatenato una tempesta di polemiche, dal momento che il sito in blu aveva deciso di estenderla a numerosi paesi del globo social. Lanciato negli Stati Uniti circa un anno fa, il servizio si presentava chiaramente nel suo obiettivo principale: rendere più semplici le attività di tagging degli utenti, chiedendo loro di identificare un amico presentato in un riquadro in stile fototessera .
“I tag delle persone sulle fotografie dovrebbero essere consequenziali ad un esplicito consenso da parte degli stessi utenti – ha spiegato Gerard Lommel, membro lussemburghese dell’ Article 29 – Non possono in alcun modo essere attivati di default. Secondo Lommel, il suggerimento automatico dei visi potrebbe portare a numerosi rischi per gli utenti. I difensori europei della privacy vorrebbero che Facebook comprenda gli errori commessi.
A puntare il dito contro il colosso social è stato anche Marc Rotenberg, presidente dell’organizzazione statunitense Electronic Privacy Information Center (EPIC): Facebook avrebbe dovuto chiedere il consenso agli utenti prima di impostare in automatico la feature per il riconoscimento facciale . Non è attualmente chiaro quali altri dati personali – esempio, indirizzo di posta elettronica – possano essere associati al nuovo servizio.
“A quanto pare, ancora una volta Facebook erode la privacy online dei suoi utenti con azioni invisibili”, aveva commentato l’esperto in sicurezza informatica Graham Cluley, recentemente intervenuto sul blog di Sophos per suggerire a milioni di utenti l’unica modalità per disabilitare la feature . È però attualmente possibile la sola rimozione dei suggerimenti delle facce agli amici .
Probabilmente presa in contropiede, l’azienda di Mark Zuckerberg ha dovuto ammettere l’errore commesso, parlando di una vera e propria confusione. Le scuse sono arrivate puntuali: Facebook avrebbe dovuto chiedere il permesso ai suoi utenti prima di implementare in maniera silente la feature . Si tratta però delle ennesime scuse dopo l’ennesima gaffe in materia di privacy. Basteranno a placare i cani da guardia dell’Unione Europea?
Mauro Vecchio