Il 15 settembre 2010 i quattro studenti universitari Maxwell Salzberg, Daniel Grippi, Raphael Sofaer and Ilya Zhitomirskiy (recentemente scomparso ) davano il via, rilasciando il codice, a Diaspora, il primo social network open source. A poco più di un anno di distanza è imminente la beta del servizio, che promette tante novità. Per illustrarle e per spiegare meglio, a chi non conoscesse Diaspora, cos’è e come funziona questo social network abbiamo rivolto qualche domanda a Silvia Ariccio (nota come Morgenstern ) laureanda in psicologia che contribuisce a Diaspora promuovendone la diffusione, supportando il lavoro degli sviluppatori con idee e consigli e su come rendere diaspora più user friendly; a Vittorio Cuculo laureando in Informatica all’Università di Pisa, sviluppatore di Diaspora e gestore del pod ad iscrizione libera sul server di eigenLab ; a Paolo Tacconi, ingegnere delle telecomunicazioni, traduttore e semplice utente.
Punto Informatico: Perchè un altro social network?
Silvia Ariccio: Diaspora è nata per proporre un’alternativa ai grandi social network già esistenti Il fatto che ci fosse un’esigenza di questo tipo emerge dall’entità delle donazioni che dimostrano quanto i donatori fossero interessati a vedere un qualcosa che fosse diverso rispetto ai social network che già sono abituati ad utilizzare.
Vittorio Cuculo: In seguito alla nascita degli altri social network penso che ci sia stato il bisogno di una gestione più rispettosa dei dati degli utenti e quindi della loro privacy (cosa che Facebook si sta affrettando a fare in questo ultimo periodo con scarsi risultati). L’utente ha sentito il bisogno di non sentirsi semplicemente un dato statistico da vendere al migliore offerente, quindi dare vita ad un social network libero che non sottostasse alle leggi di una società centralizzata è stata la logica conseguenza.
Paolo Tacconi: Forse sarebbe giusto chiederselo se, per l’utente medio, i social network fossero il posto ideale per eccellenza. È vero, in questo momento hanno delle bellissime e accattivanti funzionalità, ma se fossero stati perfetti l’alternativa non si sarebbe cercata. Evidentemente si sentiva il bisogno di uno strumento dove fosse facile avere sempre presente la visibilità di ciò che postiamo. Allo stesso tempo si è cercato di creare una piattaforma interoperabile, mentre gli altri social network sembrano piuttosto un giardino racchiuso dentro un muro con le proprie regole non condivise e la propria censura.
PI: Perché Diaspora? Perchè questo nome biblico?
SA: Per come la spiegano gli sviluppatori si tratta di “dispersione”. Il logo mostra infatti tanti semi che si disperdono a simboleggiare i dati che sono sparsi su tanti pod (server); ma vuol evidenziare anche il distacco dagli altri social network, dimostrare la differenza.
VC: Diaspora appunto indica la struttura decentralizzata dei tanti pod dispesi geograficamente.
PT: Lo vedi dal simbolo che è un seme di soffione, e ritengo che possa essere inteso in due sensi: sottolinea il fatto che è nato per creare una diaspora dagli altri social network e crearne uno nuovo, che è costituito da tanti semi che si spargono per il mondo.
PI: I maligni dicono che Diaspora sia nato per l’esigenza dei quattro studenti di reperire fondi e per poi scriverci la tesi di laurea…
VC: Se avessero voluto far soldi non avrebbero creato un progetto open source. Se fai questo non pensi al guadagno e soprattutto non devi rendere conto di tutte le donazioni, inoltre sai che tutti i soldi che guadagnerai andranno reinvestiti. Lo dimostra il resonto pubblico di ogni centesimo donato e speso.
PT: Il progetto sta crescendo e il risultato è soddisfacente e quindi basta questo per mettere i maligni a tacere. Se poi i programmatori o gli ideatori ne fanno un’attività, comunque sia, lo scopo è ottimo.
PI: È vero che Marck Zuckeberg, creatore di Facebook, ha donato dei soldi? Se si perchè lo avrebbe fatto?
VC: È vero e analizzando il fatto, in quel periodo Facebook risentiva di critiche, non ci stupiremmo se fosse stata una manovra. La donazione è stata annunciata durante un’intervista a Wired dove veniva anche introdotto l’argomento sulle regole a protezione della privacy adottate da Facebook.
SA: È da considerare anche che il codice aperto può anche essere fonte di idea e di ispirazione come per esempio le liste (aspetti) che sono state copiate, come faceva notare Paolo, sia da Facebook che da Google+. Anche questo può essere stato un motivo.
PT: È successo davvero. Quando ci fu il lancio di Diaspora fu una cosa di cui si sentiva parlare spesso. Ufficialmente non c’è un comunicato dove Zuckerberg spiega le sue ragioni. Potrebbe essere stata una sfida, come a dire “Non scalfirete Facebook anche se vi finanzio”, o “voglio vedere se sarete più bravi di me”, ma possiamo solo fare delle congetture. Potrebbe essere anche una questione di immagine, anche se mi domando che ritorno possa avere. Resta il fatto che Zuckerberg ha un profilo su Diaspora . PI: Come funziona Diaspora?
VC: Tutti i dati degli utenti non risiedono in server centrali come avviene per gli altri social network, ma i loro dati vengono distribuiti geograficamente nel mondo. La registrazione avviene su un solo pod, e su quello soltanto l’utente si può loggare e su quello soltanto risiederanno i propri dati o quanto pubblicherà. Se un utente vuole creare il proprio pod può farlo rimanendo in contatto con i propri amici registrati su quel pod o con quelli di tutto il mondo.
SA: Si evita la ridondanza per privilegiare la privacy: tu sei su un pod e i tuoi dati sono solo su quello. Un utente sceglie dove registrarsi in base a diversi elementi quali, ad esempio, la fiducia che ha nel gestore del pod o in base alla vicinanza geografica. L’utente ha anche la possibilità di effettuare dei backup, nel caso dovesse succedere qualcosa evita la perdita di ciò che ha pubblicato.
PT: È un ibrido tra funzionalità scelte di Twitter e Facebook, quindi assodate nei social network, ma è dotato anche di caratteristiche nuove e originali.
PI: Essendo un’alfa, Diaspora è ancora su invito ma ci si può registrare anche senza su alcuni pod. Come mai questa scelta?
VC: In effetti, essendo open source sarebbe bastato cambiare una riga di codice e renderlo disponibile a tutti, ma per quel che rigurda JoinDiaspora che è il pod dei fondatori si aspetta che i tempi siano più maturi prima di aprirlo a tutti. Vorrei specificare però che quando si installa un pod è a discrezione di chi lo installa se renderlo libero o meno, viene lasciata libertà di scelta.
PT: È una scelta dovuta a motivi tecnici. Quando è stato lanciato il servizio, il codice non era particolarmente testato e inoltre il pod (JoinDiaspora) avrebbe potuto avere dei problemi se ci fossero stati tanti utenti sopra. Così è stato deciso di limitare le iscrizioni per migliorare e ottimizzare il funzionamento della piattaforma. Con la nascita di altri pod si è potuto differenziare il servizio.
PI: L’interfaccia somiglia molto a quella di Facebook, ma “dentro” cosa c’è di diverso?
VC: Non bisogna guardare alla veste grafica, all’interfaccia utente, quello che lo rende diverso in maniera significativa è la decentralizzazione della rete.
SA: La libertà di poter scegliere il pod sul quale iscriversi per esempio.
PT: L’elemento fondamentale è il codice aperto e quindi, volendo, possiamo avere la possibilità di sapere davvero cosa fa mentre lo usiamo! Poi la rete distribuita prospetta il ritorno a Internet libera e senza frontiere. I pod sono stati pensati in modo da poter comunicare tra loro, con la stessa apertura con cui parlano alla pari i server di posta elettronica, una pietra miliare di internet. Oggi non è più scontato che i servizi in rete siano interoperabili. E infine, ma non meno importante, dietro a Diaspora non c’è una corporation che controlla i propri iscritti. Al massimo potrebbe succedere per un pod, è vero, ma ciò non significa controllare l’intera rete.
PI: Dal punto di vista dell’utente cosa lo differenzia dagli altri social network?
SA: Importante è il fatto che l’utente sia una parte attiva. Può influire sullo sviluppo, correggere i bug se ne ha le competenze, senza aspettare che ci siano nuove feature, o che qualcuno lo faccia per lui o semplicemente discutendo, partecipando o proponendo.
VC: L’utente appunto non è solo un utilizzatore finale ma partecipa attivamente.C’è ad esempio il forum, il wiki, la traduzione, la possibilità quindi di essere propositivi e anche e non ultimo di poter creare un nuovo pod.
PT: Su Diaspora ci sono impostazioni intenzionalmente semplicissime che ti permettono di sapere quello che fai e di poterlo fare facilmente. È vero, si può dare a un utente la possibilità di personalizzare ogni dettaglio, ma più impostazioni ci sono più è difficile capire le conseguenze delle scelte che si fanno. L’utente resta in possesso dei dati, il che non è una cosa così ovvia ormai. Io posso caricare una foto su Diaspora e sapere che rimarrà mia, nel senso che nessuna società potrà farne uso senza il mio consenso. La cancellazione dei dati è definitiva. Devo dire che la comunità è ancora piccola ma frizzante. E poi, come è fisiologico che sia, ci sono ancora una pioggia di bug.
PI: Cosa è richiesto a chi voglia contribuire?
VC: La conoscenza di Ruby on Rails, un framework per applicazioni web molto semplice, e javascript-
PT: Ci vogliono anche persone che installino nuovi pod per aiutare ad ampliare la rete e a studiarne il comportamento.
SA: Non serve comunque essere sviluppatori, io ad esempio che non so programmare riesco a fare la mia parte in tanti modi perchè bisogna anche pensare a cosa serve, come proporre agli utenti, come promuovere e quindi non servono solo competenze informatiche. Il progetto deve essere supportato anche in questi modi. PI: Perchè gli utenti dovrebbero preferire Diaspora agli altri social network?
VC: Se hanno a cuore la privacy trovano terreno fertile e questo rappresenta un motivo non indifferente per sceglierlo; e poi il fatto di poter essere parte attiva e non dei semplici utilizzatori.
SA: Per sentirsi in una comunità, cosa che succede di rado in altri social network: anche se non ci si conosce di persona ci si nteressa ai nuovi utenti e li si aiuta, si condividono esperienze, ci si consiglia.
PT: Soprattutto, come dicevo prima, per le impostazione semplici e la qualità dei pod.
PI: La beta sarà rilasciata a breve: e i bug? E le novità?
SA: Per quanto riguarda i bug direi che la sincronizzazione tra pod non è perfetta, è difficile vedere i tag che sono sui diversi pod, trovare le persone a volte è difficoltoso e in passato non si vedevano i post tra pod diversi o arrivavano in ritardo.
VC: Quello di cui parla Silvia è un problema conosciuto nei sistemi decentralizzati_ laddove c’è uno scambio di messaggi tra pod, se un pod è down per una qualche ragione, trascorso un certo periodo il messaggio viene perso. Però voglio aggiungere che sono arrivo alcune nuove funzionalità, una la stiamo già sperimentando ed è quella di poter bloccare le persone. Inoltre già qualche mese fa ho implementato una estensione per Google Chrome, chiamata Diaspora Publisher , che permette di condividere articoli o siti web sul proprio profilo di Diaspora. Infine ho sviluppato la chat testuale e la videochat che presto saranno disponibili. Ho presentato questi progetti al Google Summer Of Code 2011 e il giorno dopo erano già stati copiati dagli altri social network. Questo ci mostra la differenza che passa tra l’avere uno stuolo di sviluppatori a disposizione e uno solo che lavora a un progetto.
PT: I bug sono aumentati perchè, con l’avvicinarsi della beta, sono state inserite velocemente delle nuove funzionalità che devono essere ancora stabilizzate e che hanno anche creato, in alcuni casi, delle regressioni. La novità maggiore sono gli “aspetti” che sono stati proposti anche su Google+ e Facebook, ma che sono nati su Diaspora e restano un aspetto fondamentale di questo social network. Si tratta dell’equivalente delle cerchie di amici o dei gruppi. Non sono pubblici e servono a scegliere con chi condividere i post, in base agli aspetti della nostra vita.
PI: Quali sono i punti di forza dei social network più famosi, e in cosa devono essere migliorati o potenziati rispetto a Diaspora?
SA: Il punto di forza degli altri social network è la quantità di utenti. Un utente di solito si iscrive dove trova gli amici mentre su Diaspora difficilmente, per ora almeno, si trovano persone che si conoscono nella vita reale.
PT: La potenza di Facebook è l’enorme numero di utenti è poi la semplicità di creare un circuito di discussione e condivisione. Il punto debole di questa rete è il modello di business che consiste nella profilazione e nella raccolta dei dati e non si può migliorare, perchè Facebook vive solo di questo: è la sua ossatura. Inoltre non va trascurato il numero degli sviluppatori ed esperti marketing che ci lavorano. È difficile con questi presupposti trovare punti che possono essere migliorati salvo quelli che riguardano la sfera privata. Infatti il network è stato ottimizzato a misura dell’utente, tranne che in quei settori che sono funzionali proprio alla famigerata raccolta di dati.
PI: In che modo Diaspora dovrebbe fare la differenza?
PT: Diaspora non è nata per distruggere o soppiantare altri social network, ma per dare la una possibilità di scelta che mancava. La differenza la sta già facendo e lo dimostra il fatto che Google+ e Facebook l’abbiano copiata . Se consideriamo che è solo un’alfa la cosa non è indifferente. Quante alfa ci sono che hanno influenzato colossi quale è Facebook?
VC: Per la qualità del servizio che offre. Inoltre, essendo un progetto open source, si può contribuire e guardare all’interno e vedere cosa accade al contrario di quanto avviene negli altri social network a cui bisogna affidarsi e fidarsi.
PI: Abbiamo letto tutti quello che è successo a un utente Facebook che ha richiesto i propri dati e si è visto recapitare tutto quello che aveva postato compreso quanto aveva cancellato. Non credete che questo, oltre a non essere etico, rappresenti l’impossibilità di cancellare dalla memoria eventi che si vorrebbero dimenticare?
SA: La tecnologia ci aiuta a tenere il ricordo di eventi che altrimenti dimenticheremmo. È una forma di memoria artificiale che aiuta la nostra. Quelli di Facebook hanno interesse a mantenere tutti i dati che riguardano gli utenti per poterli reperire e riutilizzare, hanno infatti il controllo totale su quanto pubblicato che non si possiede più dal momento in cui si condivide.
PT: Diaspora cancella effettivamente i dati che vogliamo cancellare e questo lo sappiamo perchè il codice è aperto e vediamo le operazioni che vengono svolte. In verità è Internet che ci pone davanti a questa novità perchè le informazioni che mettiano online anche involontariamente rischiano di rimanerci per sempre. Si possono fare cose di cui ci si può pentire in futuro o pubblicare dati che vengono visti da chi non vogliamo. Non è giusto dover essere sempre pronti a rispondere della nostra vita privata a meno che non sia una cosa legalmente rilevante. I social network non danno garanzia che il passato sfumi e potenzialmente potrebbe anche essere usato contro di noi. Può succedere anche su Diaspora, ma il fatto che le informazioni siano suddivise su aspetti le rende più sicure per la vita di tutti i giorni. È interesse di tutti che ci siano piattaforme di social networking che non solo diano la possibilità di cancellare i dati, ma che anche abbiano a cuore in tutto e per tutto le necessità dell’utente. PI: I social network stanno avendo un successo incredibile. Da cosa pensate nasca questo bisogno di mettersi così a nudo?
SA: La nostra epoca è quella in cui le persone tendono ad aver voglia di mettersi in mostra, ma è riduttivo ritenere che i social network abbiano successo a causa del fatto che le persone abbiano bisogno di mettersi a nudo. Un social network è uno strumento molto variegato per comunicare e informarsi, un mezzo usato anche molto per moda e quindi non si può ridurre il successo dei social network alla questine del narcisismo, è una forzatura. È vero anche che i social network sono una forma di comunicazione complessa rispetto a quanto per esempio può essere una chat, per cui con il primo finisci per trasmettere tante informazioni personali a più persone di quante in realtà vorresti. È proprio questo eccesso di condivisone che fa guadagnare e quindi l’utente è incentivato a condividere. A conti fatti potrebbe non essere una scelta.
VC: Gli strumenti ci sono, dipende dall’uso che se ne fa, non serve mettersi a nudo e Diaspora non lo richiede né lo impone. Non c’è nessuna restrizione e non vengono chiesti dati personali, si può essere chi si vuole, anche una persona diversa da quella che si è realmente. Negli altri social network invece non possono essere inseriti dati diversi da quelli reali perchè non si possono vendere dati inventati quindi tutto deve essere associato alla vera identità di una persona.
PT: Ci sono due aspetti fondamentali per cui i social network hanno successo: uno è che molti utenti sono appagati dal riscontro che hanno in Rete, e l’altro motivo è che le persone hanno bisogno di svago e di divertimento e di stare a contatto con gli altri. Un altro aspetto che ho constatato, è che stare su queste reti è molto rassicurante. Nell’ambito dei nostri contatti è facile che si crei una cerchia di persone più ristretta, di quelli che la pensano esattamente come noi, con gli stessi punti di vista o esperienze simili. Così una rete che, potenzialmente, ti potrebbe aprire al mondo, rischia di avere l’effetto opposto, perché puoi sempre evitare il confronto con chi la pensa diversamente. Nella vita reale è raro trovarsi in un contesto così plasmabile a piacere.
PI: quali sono le aspettative degli sviluppatori per il futuro?
VC: Migliorare e raggiungere più utenti che non siano solo utenti, che collaborino allo sviluppo e siano sensibili ai temi dell’open source.
PT: Rendere la loro attività redditizia nel senso che possa diventare sostenibile anche senza le donazioni. Credo che l’intenzione sia quella di mettere su una società che si occupi di Diaspora e che possa pagare gli stipendi.
PI: La comunità italiana in cosa sta contribuendo?
VC: Diaspora è fatta dalla comunità che la vive. Gli italiani stanno contribuendo nello sviluppo e nella traduzione.
PT: La comunità italiana è parecchio incisiva e fa anche da leva. C’è stato un periodo, per esempio, in cui ha sollecitato i programmatori perché dessero maggiori feedback su quanto stavano facendo. C’è molta voglia di sapere come sta andando lo sviluppo. Inoltre credo che siano stati soprattutto gli italiani a promuovere la creazione della funzionalità “ignora utente”.
SA: Vorrei sottolineare che la community italiana è la più numerosa dopo quella angolofona, francese e tedesca. Quindi è facile trovare utenti italiani, ed è facile che la comunità italiana si organizzi e sia ascoltata, come diceva Paolo, proprio perché numerosa.
PI: Pensate in futuro di avere un successo pari a quello degli altri social network anche in termini di guadagno?
VC: Non si pensa al guadagno, ciò che arriva dalle donazioni serve a mantenere vivo il progetto, non esistono banner e i dati non vengono venduti.
SA: Diaspora è una fondazione , e quindi non è orientata al profitto, non c’è l’intento di accumulare soldi né di arricchire nessuno; gli sviluppatori fondatori ricevono giustamente uno stipendio, che deriva unicamente dalle donazioni. A ogni modo nessuno vieta a chi mette su un pod di crearsi modi per guadagnare o finanziarsi, e sarà sempre l’utente che avrà la libertà di sceglierà su quale iscriversi. C’è piena libertà anche su questo.
PT: Il guadagno non è uno degli scopi dichiarati di Diaspora, ma è anche molto presto per capire. Twitter per esempio ha molto successo ma non sono riusciti a trovargli ancora un modello di sotenibilità economica. Posso dire che Diaspora è pensato più per l’utente che per il profitto, in aderenza allo spirito del software libero.
a cura di Patrizia Bisaccia