Se RIAA – recentemente diventata RIIAHA in una divertente parodia – ha un merito è certamente quello di aver scatenato un numero notevole di energie positive e di sforzi di partecipazione all’interno della società civile americana: Digital Freedom , iniziativa di organizzazioni quali EFF , Media Access Project e Public Knowledge , ha ora messo in campo le sue energie per contrastare la tempesta che in questo periodo si sta abbattendo sugli atenei statunitensi per opera dei legali dell’industria multimediale.
Si tratta, in sostanza, di una vera e propria azione di contro-propaganda concernente temi quali il diritto d’autore, l’equo utilizzo e le libertà digitali del moderno evo telematico. Digital Freedom University , questo il nome della nuova fase di lotta contro le contorsioni del sistema legale americano provocate dalle major, risponde per le rime alle campagne demonizzatici della propaganda delle major .
Laddove queste ultime mettono il discusso istituto del diritto d’autore davanti a tutto, cercando i pirati fra gli studenti delle maggiori scuole universitarie statunitensi, DFU favorirà la nascita di nuclei di attivismo proprio all’interno degli stessi atenei , nell’ottica di mobilitare quante più persone possibili e spingerle a partecipare al dibattito su file sharing, pirateria, legge sul copyright e via di questo passo.
In contrasto a quanto propagandato da RIAA e sodali, centrale sarà la questione del fair use , e del come e perché sia necessario ristabilire l’equilibrio del copyright di cui parla tra gli altri DVD Jon in una intervista di qualche tempo fa. “L’iniziativa Digital Freedom University – si legge nella press release di Digital Freedom – combatterà per assicurarsi che migliaia di studenti in età da college, i quali rappresentano gli artisti, gli innovatori e i consumatori del futuro, siano pienamente consapevoli dei propri diritti, ed affinché abbiano voce in capitolo in una soluzione di lungo termine”.
L’obiettivo, ambizioso ma consapevole, è quello di far sentire il fiato degli attivisti dei diritti digitali sul collo del Congresso, per “mostrare ai suoi membri quanto sia divenuto forte il movimento”: a tal proposito è stata predisposta anche una petizione con cui i netizen possono mostrare il proprio appoggio all’iniziativa.
Iniziativa che, a ben guardare, potrebbe trovare non poco supporto da parte degli studenti, in un periodo in cui l’azione di contrasto ai download liberi da restrizioni da parte dell’industria si fa sempre più stringente : non bastassero le liste di proscrizione di RIAA, ora entra in gioco anche MPAA , l’associazione delle potenti major del cinema hollywoodiano.
E lo fa pubblicando a sua volta l’ennesima “colonna infame” dei peccatori del p2p, le 25 scuole che più di tutte si sono macchiate del peccato mortale del download illegale, in questo caso di contenuti cinematografci: spiccano fra le altre la Columbia University (1.198 studenti presunti condivisori illegali), University of Pennsylvania (934 giovani pirati), Boston University (891 condivisori), University of California at Los Angeles (889 downloader), Purdue University (873 pirati). Quest’ultima vince secondo ars techica la medaglia d’oro del pirata , per avere il più alto grado di pirateria tra i suoi scolari tra i 10 istituti che parimenti compaiono anche nelle liste di RIAA.
Quello che non è ancora chiaro è cosa farà ora MPAA: l’attivismo della suddetta nei confronti di P2P e affini, per quanto di una certa consistenza, è tradizionalmente meno esposto del modello bava alla bocca perpetrato con gran sollecitudine da RIAA. Avere a disposizione una lista siffatta potrebbe certo essere solo l’incipit di un nuovo crackdown legale nei confronti dei condivisori o presunti tali in seno alle università.
Ma le iniziative legali dell’industria non cessano di incontrare difficoltà impreviste: l’ultima in ordine di tempo è la decisione del giudice di vietare l’ispezione di un PC nell’ambito del caso UMG contro Lindor : RIAA intendeva mettere le mani sul PC del figlio della signora Lindor, ma l’Alto Magistrato ha sentenziato che sussistono “scarse basi” per autorizzare l’ispezione, e tutto quello che l’associazione può ottenere è al massimo una deposizione limitata dell’uomo per accertarsi se egli abbia avuto a disposizione ulteriori dispositivi collegati alla connessione della madre al momento del presunto reato.
Alfonso Maruccia