Direttori sul web, di chi è la colpa?

Direttori sul web, di chi è la colpa?

di F. Sarzana di S.Ippolito - Tirare per la pelliccia la Cassazione non si può. Eppure, il caso in questione pone in evidenza un punto: la riorganizzazione dei contenuti pone sfide che la Legge non sempre prevede
di F. Sarzana di S.Ippolito - Tirare per la pelliccia la Cassazione non si può. Eppure, il caso in questione pone in evidenza un punto: la riorganizzazione dei contenuti pone sfide che la Legge non sempre prevede

La sentenza sulla responsabilità del direttore di testate web, che tanto ha fatto discutere, si arricchisce di nuovo contributi in Rete. Ho apprezzato ad esempio la discussione che si è svolta sul blog di Massimo Mantellini, tra i più seguiti in Italia. Ho apprezzato pur non condividendone i contenuti, l’ analisi di Daniele Minotti, tra i più profondi conoscitori del diritto della Rete, fondatore del portale penale.it , insostituibile strumento di ricerca di sentenze e autorevoli commenti sul blog.

Daniele in particolare non lesina critiche alla ricostruzione che il sottoscritto, e mi sembra anche Guido Scorza , hanno fatto della sentenza, in quanto la stessa avrebbe stabilito punti fermi in tema di mancanza di responsabilità da omesso controllo del direttore responsabile. Vorrei provare a mettere ordine nella discussione e a segnalare invece quali siano le conseguenze favorevoli della sentenza, indicando però al contempo qualche punto fermo.

Innanzitutto la circostanza secondo la quale la Cassazione si sarebbe limitata a emettere una sentenza di solo diritto sull’omesso controllo da parte di un direttore di testata web, e non sia entrato nel fatto, mi sembra tutt’altro che evidente. Basti pensare alle “incursioni” che la Cassazione nel caso di specie ha effettuato nel merito, quale ad esempio l’affermata contrarietà del direttore alla missiva “incriminata”, affrontata dalla Corte per escludere il concorso in diffamazione ma destinata a far parte della valutazione di merito sul comportamento del direttore che, evidentemente, non meriterebbe per questo una condanna (e, soprattutto, un giudizio risarcitorio civile).

La Corte ha cioè ritenuto che il direttore non fosse d’accordo con l’autore della missiva diffamatoria, entrando quindi nel merito del fatto e non limitandosi ad una pronuncia di diritto, ed ha ricostruito il fatto in maniera difforme da quanto fatto dalle Corti di merito: il che francamente appare un po’ abnorme visto il ruolo di giudice di legittimità della Cassazione. Così come è entrata nel merito quando ha ritenuto che l’interattività e la caratteristica del web non potessero consentire al direttore un controllo sui commenti dei lettori.

E questo, al di là di ogni giudizio sull’art. 57 del codice penale, e sulla pretesa analogia in malam partem , è un giudizio di fatto e non di diritto che dovrebbe essere sottratto alla cognizione del Giudice di legittimità che altrimenti diventerebbe (come ha fatto a mio giudizio in questo caso) un giudice di merito di terzo grado. Ma, come vedremo, è forse questa la parte (forse l’unica) più innovativa della sentenza e quella in grado di far “sorridere” i direttori responsabili delle testate web.

Senza voler essere “giudici dei giudici di legittimità”, dal punto di vista procedurale la Cassazione ha operato in modo alquanto singolare, in quanto la stessa avrebbe dovuto cassare la sentenza con rinvio: ovvero limitarsi a enunciare il principio di diritto e rinviare il processo alla Corte d’Appello di Milano (che però si era già espressa in maniera diversa mentre il giudice di primo grado aveva condannato il direttore), per far rivalutare il fatto alla luce dei principi di diritto espressi.

Se così avesse fatto, si sarebbe esposta comunque ad un possibile giudizio di responsabilità del direttore basato su una diversa ricostruzione del fatto da parte della Corte d’appello di Milano, visto che l’art. 627 comma 3 del codice di procedura penale prevede che “Il giudice di rinvio si uniforma alla sentenza della Corte di Cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa (173 att.)”. Di diritto, non di fatto, si badi bene. Ivi compresa la possibilità che il direttore venisse condannato per concorso in diffamazione, visto che la Corte aveva così agevolmente indicato la strada per condannare un direttore responsabile come di solito accade per i blogger.

Così come se la Corte ancor più correttamente avesse annullato la sentenza ai soli effetti civili secondo quanto previsto dall’art. 622 del codice di procedura penale avrebbe dovuto comunque rimettere la questione di fronte alla Corte d’appello civile competente (la stessa Corte d’appello che aveva dichiarato colpevole ai fini civilistici il direttore). In pratica avrebbe visto uno o più giudici giudicare di nuovo della questione, esponendo così il direttore responsabile al possibile pagamento di un risarcimento che appariva più che fondato, visto che sia il giudice di primo grado che la Corte d’appello avevano chiaramente evidenziato la responsabilità del direttore, confermando anche le statuizioni civilistiche della sentenza. Vicenda già verificatasi in Cassazione.

Daniele Minotti introduce poi un discorso importante, ovvero la sequestrabilità delle testate web e i precedenti della Cassazione sulla non sequestrabilità dei commenti postati dai lettori su forum e blog, al fine, presumo, di dimostrare che i commenti dei lettori non possano essere soggetti al sequestro previsto dalla legge sulla stampa e scongiurare così il rischio da me paventato che si potessero aprire processi “inquisitori” a carico dei blogger e dei commenti agli articoli.

In effetti in entrambi i casi la Cassazione esclude la sequestrabilità dei post, in quanto esercizio di attività di libero esercizio del pensiero, estraneo però al contesto della stampa: e mi sento di poter dire che non hanno niente a che vedere con la stampa ancorché telematica, e quindi con il caso analizzato dalla Corte di Cassazione con il caso Merate online da ultimo, visto che si trattava di annunci pubblicitari di prostitute postate in una testata online e coinvolgevano quindi la sequestrabilità o meno di espressioni del pensiero contrarie al buon costume.

Ora, se io fossi il direttore della testata che aveva dato origine al procedimento giudiziario, forse rimarrei un po’ male se qualcuno paragonasse i post lasciati da un lettore ancorché anonimo ai messaggi pubblicitari di una o più prostitute inseriti in una testata, a meno che non vogliamo equiparare questi messaggi a quelli di ben nota memoria di Mourinho denominati dallo stesso di “prostituzione intellettuale” e riportarli in un alveo più aulico.È per questo che la Cassazione ha detto in sostanza che se esistono dei post pubblicitari di prostitute la testata non si può difendere affermando l’insequestrabilità dei post pubblicitari.

Come questi post possano essere accomunati al commento di natura “politica” di un lettore di una testata telematica appare un mistero, soprattutto considerando che la Cassazione in modo univoco ha sempre ritenuto invece che i commenti dei lettori se pubblicati entrassero a far parte della sfera di controllo del direttore responsabile e quindi (al contrario dei messaggi pubblicitari delle prostitute) qualcosa a che fare con la stampa ce l’avevano.

Nell’ altra , interessante, sentenza riportata da Minotti, il sequestro e quindi l’imputazione non riguardava, a quanto sembra, alcuna testata registrata telematica ma semplicemente il forum presente sul sito dell’associazione di consumatori ADUC . Poiché ADUC si era difesa sostenendo che i post non potessero essere sequestrati perché protetti dalla legge sulla stampa, la Corte ha invece detto che “D’altra parte, nel caso in esame, neppure si tratta di un forum strutturalmente inserito in una testata giornalistica diffusa per via telematica, di cui costituisca un elemento e su cui il direttore responsabile abbia la possibilità di esercitare il controllo (così come su ogni altra rubrica della testata)”.

Ergo la Cassazione un anno e mezzo prima della “nostra sentenza” sulla assenza di responsabilità del direttore di una rivista telematica, pensava invece che di quello che fosse inserito in un forum il direttore di una testata registrata dovesse rispondere, contrariamente a quanto affermato dalla Cassazione del 2010. Ma allora chi ha ragione? La Cassazione del dicembre 2008, che ha assolto il direttore perché il sito dell’ADUC non era una testata registrata, oppure la Cassazione del 2010 che in relazione alle testate registrate, al caso Merate Online , e al commento anonimo di un lettore, ha preferito sollevare il direttore da ogni responsabilità?

Non è dato saperlo, eppure le Sentenze della Suprema Cassazione all’apparenza così lontane dal caso in questione però ci dicono a mio giudizio che la Cassazione con la sentenza 35510 del 2010 ha inteso innovare, e fare un passo avanti decisivo nell’escludere che nelle testate telematiche il direttore responsabile debba rispondere di omesso controllo dei forum e dei blog inglobati nella propria testata (o dei commenti agli articoli): “salvando” tutti i direttori delle testate dai commenti “infelici”.

Fulvio Sarzana di S.Ippolito
www.fulviosarzana.it

Link copiato negli appunti

Ti potrebbe interessare

Pubblicato il
12 ott 2010
Link copiato negli appunti