Non tutte le richieste di rimozione fatte pervenire ai motori di ricerca da parte dei cittadini europei trovano accoglimento nel contesto delle procedure interne alle aziende, volte a soppesare le istanze in gioco e scegliere se far prevalere il diritto all’oblio o continuare a tutelare la libera circolazione dell’informazione. Per i cittadini che non ottengano un riscontro presso i motori di ricerca c’è la possibilità di rivolgersi ai garanti per la privacy o all’autorità giudiziaria: l’authority italiana ha già preso in esame nove casi, due dei quali hanno innescato per Google delle nuove deindicizzazioni.
L’Europa ha dovuto confrontarsi con nuovi diritti e nuove procedure a partire dalla discussa decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ha prescritto a Google di essere ricettiva rispetto alle richieste dei cittadini di voler scomparire dai risultati del search. I motori di ricerca sono dunque stati investiti del ruolo di arbitri dell’oblio, chiamati a bilanciare gli interessi della libera circolazione dell’informazione e della riservatezza nel decidere quali link deindicizzare, e dunque rendere meno rintracciabili. Google, che ha avviato un esteso confronto per trovare le soluzioni per implementare al meglio la sentenza, ha iniziato da tempo, prima degli altri operatori del search , a rimuovere link e frammenti del passato dai propri risultati, che prima erano rintracciabili scegliendo come chiave di ricerca il nome dell’interessato.
Ad oggi, le richieste formulate a Google da utenti italiani sono 14.519, relative a 50.502 URL: Mountain View ha proceduto alla deindicizzazione nel 74,7 per cento dei casi , e alcuni dei richiedenti insoddisfatti dei suoi dinieghi, come previsto dall’UE, si sono rivolti all’autorità garante per la privacy, che lavora su una serie di linee guida discusse fra pari in sede europea. L’authority italiana riferisce ora di avere ricevuto “alcune decine” di segnalazioni, nove casi sono già stati esaminati.
Per sette segnalazioni l’authority italiana non ha accolto la richiesta dei soggetti interessati , appoggiando dunque la scelta di Google di non deindicizzare: “è risultato prevalente l’aspetto dell’interesse pubblico ad accedere alle informazioni tramite motori di ricerca – spiega il Garante – sulla base del fatto che le vicende processuali sono risultate essere troppo recenti e non ancora espletati tutti i gradi di giudizio”.
Due, invece sono i casi in cui l’Autorità ha imposto a Google di agire per soddisfare le richieste dei cittadini. Un caso, spiega il garante, era incentrato su una vicenda giudiziaria, narrata con l’apporto di “numerose informazioni eccedenti, riferite anche a persone estranee”: l’authority italiana ha decretato la rimozione dei link nell’interesse pubblico alla tutela dei dati personali, e valutando anche il dettato del codice deontologico giornalistico, che “impone di diffondere dati personali nei limiti dell’ essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico “. Il secondo dei casi è sfociato in un ordine di deindicizzazione in quanto “la notizia pubblicata era inserita in un contesto idoneo a ledere la sfera privata della persona”. Le due valutazioni del garante, più che sulle scelte operate da Google, sembrano condannare gli stessi contenuti indicizzati , probabilmente frutto di cattivo giornalismo.
“Google si è dichiarato disponibile a conformarsi alle decisioni prese dalle Autorità – ha spiegato il presidente del Garante per la protezione dei dati personali Antonello Soro – e sinceramente non abbiamo motivo per ritenere che non si atterrà alle nostre disposizioni avendo fin da subito dimostrato di voler cooperare su questo tema delicato”. Il rischio, secondo Soro, è “al contrario, quello che Google possa cominciare a rigettare tutte le richieste di deindicizzazione proprio per rimettere alle Autorità valutazioni più approfondite nel merito”: del resto, la Grande G è un’azienda la cui missione dichiarata è quella di organizzare la conoscenza in Rete, non di ergersi a arbitro dei diritti dei cittadini.
Gaia Bottà