Bloomberg torna a toccare un tasto dolente su cui insiste ormai da alcuni mesi: la disinformazione rende ed i complottisti lo sanno bene. Il Global Disinformation Index di Giugno identificava Google tra le principali fonti di reddito per i siti cospirazionisti, ma una nuova ricerca pesa anche questi flussi di denaro rilevando quanto redditizia possa essere questa attività.
Bloomberg ancora contro Google
Secondo il nuovo report citato, infatti, in ballo ci sarebbero qualcosa come 25 milioni di dollari da inizio anno ad oggi: in un solo semestre, soprattutto, Google sarebbe stata protagonista di un flusso di denaro da 19 milioni di dollari finiti direttamente nelle tasche di chi sostiene che il 5G è la causa del Covid, che Bill Gates sia l’autore di un complotto sanitario sui vaccini e altri teoremi di questo tipo. Su questi siti sarebbero finite pubblicità di grandi brand (Bloomberg segnala in particolare L’Oreal), il che sembra tra le righe suggerire agli sponsor un atteggiamento allineato a quello che ha portato a silenziare le campagne su Facebook.
Google respinge le accuse, sottolineando come la ricerca sia falsata da una deviata definizione di “disinformazione”: il gruppo ovviamente ribadisce il proprio impegno contro le fake news ed i complottismi, certificando ogni massimo sforzo per rendere quanto più redditizio e possibile il posizionamento degli inserzionisti. Ma non c’è solo Google: sia OpenX che Amazon sarebbero protagonisti (pur se a minor magnitudo) dei flussi di denaro che giungono sui siti messi all’indice.
Secondo quanto riportato, il Global Disinformation Index sarebbe stato presentato ai gruppi interessati in anteprima, ma nessuno avrebbe offerto spiegazioni ufficiali sui numeri indicati. Per gli inserzionisti l’avviso è sul piatto: le campagne affidate ai grandi network potrebbero essere viziate da questo tipo di atteggiamento “lasso” nei confronti di siti ad alto traffico pur se con contenuti improbabili. Starebbe all’inserzionista, a questo punto, trarre le proprie valutazioni.