Los Angeles (USA) – Il Digital Millennium Copyright Act , la rigida legislazione statunitense per la tutela della proprietà intellettuale spesso utilizzata dalle major come bastione giuridico per scagliarsi contro la pirateria online, è frainteso dalla maggior parte delle aziende che se ne fanno scudo nei più disparati casi di violazione del copyright.
Questa pesantissima conclusione è il frutto di uno studio accademico condotto da due giuristi dell’Università della California, Jennifer Urban e Laura Quilter, che hanno analizzato in modo comparato circa 900 delle cosiddette takedown notice , le temutissime minacce inoltrate agli ISP per denunciare illeciti commessi da utenti col vizietto della pirateria digitale – ma anche per costringere motori di ricerca a non indicizzare talune pagine.
Grazie al materiale raccolto dal progetto Chilling Effects , che gode del supporto degli attivisti di EFF , le ricercatrici californiane sono riuscite a scoprire che il 30% degli avvisi soffre di gravi errori . Il rapporto ha messo in luce molte inesattezze procedurali commesse dagli avvocati delle grandi compagnie, più inclini all’uso strumentale del DMCA: software house e produttori di videogiochi, industria cinematografica e discografica.
Quando si tratta di impugnare la sezione 512 del testo del DMCA, ovvero la parte che obbliga arbitrariamente ISP, motori di ricerca e portali ad eliminare link verso materiale presumibilmente pirata ed illegale, 1 caso su 10 di avviso DMCA risulta praticamente privo di alcuna efficacia ed in conflitto con quanto previsto dallo stesso corpo normativo.
Le cause di questo fenomeno assai diffuso è da rintracciarsi, stando alle dichiarazioni di alcuni membri di EFF , nell’effetto psicologico che il DMCA imprime su autori ed editori di prodotti digitali: un potere quasi ingestibile, tecnicamente in grado di contrastare la pirateria e la contraffazione ma anche l’innovazione, il fair use nonché la libertà di sfruttare tutte le potenzialità di Internet.
Tommaso Lombardi