Milano – “Fino ad ora le tecnologie per l’ambiente domestico sono state concepite all’insegna della massima efficienza. Così facendo si è però dimenticato che la casa è soprattutto l’ambiente in cui riposarsi e lasciarsi andare a un po’ di disordine”. Richard Banks lavora come designer al Microsoft Research Lab di Cambridge, in cui si studiano gli sviluppi futuribili delle tecnologie. Un lab nato una decina di anni fa e che impiega oggi un centinaio di persone, impegnate su vari fronti della ricerca, dallo sviluppo delle macchine al networking fino al computer mediated living , che è l’area di Banks. Punto Informatico ci ha scambiato quattro chiacchiere.
Punto Informatico: Si parla molto di tecnologie domestiche, di domotica in particolare, a che punto siamo?
Richard Banks: Per lungo tempo l’hi-tech casalingo si è sviluppato al traino del business. Le innovazioni prodotte per il mondo aziendale sono state adattate alla casa, puntando alla massima semplificazione e all’efficienza. Niente di più sbagliato: la casa è il luogo in cui ci si riposa e dove domina sempre una certa dose di disordine. Le tecnologie non occupano un ruolo centrale nell’abitazione. Devono essere in grado di adattarsi all’ambiente che le ospita, senza pretendere di stravolgerlo.
PI: Cosa significa in concreto?
Richard Banks: A Cambridge seguiamo una linea di ricerca che integra tecnologie, scienze sociali e design. Le tecnologie non devono essere solo belle in sé, ma devono servire agli utenti e assecondare i trend emergenti nella coscienza collettiva. Per fare un esempio, pensi alle tecnologie che aiutano a ridurre i consumi energetici. Oppure pensi a un futuro non lontano, quando estrarremo uno yogurt dal frigo e un display ci indicherà se il prodotto è scaduto o meno.
PI: Qualcuno comincia a criticare l’eccesso di tecnologie negli ambienti domestici. Non vede anche lei il rischio di snaturare l’ambiente per la rincorsa continua alla novità hi-tech?
RB: Il rischio c’è, ma è sbagliato generalizzare. Ci sono tecnologie che hanno tolto qualcosa all’ambiente naturale, ma anche altre che non lo hanno fatto.
Pensi alle fotografie digitali: oggi è possibile scaricare foto sul proprio pc, caricarle su Internet e condividerle con amici e parenti. Tutto praticamente a costo zero. Viene però meno la dimensione del possesso: le vecchie foto stampate potevano essere sfogliate in compagnia e restavano conservate in un luogo fisico, mentre il computer non può dare questa sensazione. Si tratta di uno strumento di visualizzazione, ma non di un luogo per la custodia.
Per questo motivo abbiamo ideato uno strumento, denominato “Shoebox”: in sostanza una scatola, situata in ambiente domestico, sulla quale possono essere proiettate le fotografie. In questo modo le foto tornano a popolare l’ambiente circostante, uscendo dal guscio virtuale dello schermo.
PI: Un’altra accusa spesso rivolta alle tecnologie è di aver sostituito in qualche caso le relazioni umane, con soluzioni fredde. È davvero così? Ci sono spazi per cambiare rotta?
RB: L’animazione delle tecnologie più moderne è un passo in avanti in questo senso. È indubbio, però, che alcune tecnologie da tempo in uso in casa siano troppo fredde e anche poco utili. Prenda la segreteria telefonica: ci consente di sapere chi ci ha cercato, ma non l’orario. Né tanto meno ci permette di selezionare chiamate di persone importanti o di scocciatori: siamo costretti ad ascoltare l’intera sequenza e non possiamo registrare solo quelle che riteniamo più interessanti.
Per ovviare a questi limiti, nel centro ricerche abbiamo realizzato “Bubble Board” (vedi qui sopra), una soluzione che consente di identificare i vari chiamanti con bolle diverse l’una dalle altre. È possibile spostare sulla tavola grafica le singole bolle in base alla priorità, conoscere a priori la durata del messaggio in base alle dimensioni della bolla, registrare solo alcune conversazioni. Il tratto comune a tutte le tecnologie che sviluppiamo è l’adattabilità del lay-out alle esigenze della famiglia e non viceversa.
PI: Fate delle prove sul campo per verificare l’effettiva utilità di queste soluzioni?
RB: Collaboriamo con una ventina di famiglie di Cambridge. I loro feedback e le abitudini di consumo vengono registrati per capire gli usi più comuni dei vari prodotti. È il caso del Whereabouts Clock (vedi in fondo), che ha subito varie modifiche, fino a renderlo utile per le esigenze dei consumatori. In sostanza è un visualizzatore grafico, che consente di conoscere dove si trovano gli altri membri della famiglia. Uno strumento utile per chi rientra per primo in casa, ma al tempo stesso rispettoso della privacy altrui, visto che contiene tre sole voci, casa, ufficio e strada, senza fornire il punto esatto in cui ci si trova.
PI: Le soluzioni sono innovative e belle da guardare. Resta, però, un dubbio: quante di queste saranno riconosciute a tal punto utili da essere commercializzate?
RB: In linea di massima il centro di ricerca ha il compito di delineare gli sviluppi futuribili delle tecnologie e del design. Il collegamento con il business presente e potenziale non è dunque particolarmente stretto. Ci basta indicare delle linee di sviluppo possibili, anche se in qualche caso recente i nostri studi sono serviti a migliorare prodotti. È il caso della Xbox Live: nel momento in cui un videogiocatore sceglie la competizione online, gli viene assegnato un altro competitor del suo stesso livello. Dietro la scelta c’è un motore intelligente elaborato a Cambridge per altre soluzioni e poi fatto proprio dai produttori della piattaforma online.
a cura di Luigi dell’Olio