DotComa/ New Media e Disintermediazione

DotComa/ New Media e Disintermediazione

di Massimo Moruzzi - Qual è la vera promessa di Internet, se non dare finalmente la possibilità alle aziende di parlare direttamente con i propri clienti? E' l'ora del web atomizzato. Discografici e imprese dovrebbero prenderne atto
di Massimo Moruzzi - Qual è la vera promessa di Internet, se non dare finalmente la possibilità alle aziende di parlare direttamente con i propri clienti? E' l'ora del web atomizzato. Discografici e imprese dovrebbero prenderne atto


Web – La parola disintermediazione è stata usata – a sproposito – dai sostenitori dell’e-commerce, in particolare da tutti coloro che hanno voluto provare a mettere in piedi un servizio ex novo con un proprio magazzino. A sproposito perché costoro vendevano prodotti altrui ed il loro non è stato che un tentativo di diventare dei nuovi intermediari di cui troppo spesso nessuno sentiva il bisogno.

Allora, niente disintermediazione? Au contraire. Il fatto è che, molto semplicemente, vi sarà disintermediazione solo dove gli intermediari non portano valore sufficiente a giustificare la loro presenza e i loro costi. I negozi fisici – e anche alcuni negozi di e-commerce – prosperano anche se sono degli intermediari perché portano valore e rispondono a delle esigenze importanti per i clienti.

In altri campi sembra che non sia così. La RIAA continua a sostenere che le case discografiche devono mantenere alti i costi dei cd perché devono pagare tutte le attività di scouting e di marketing, tutte le persone che stanno dietro e che svolgono una qualche funzione nella cosiddetta catena del valore . Per tutta risposta, i loro clienti scaricano musica gratis.

Le Major non si accorgono o non vogliono accorgersi che a nessuno interessa né la (loro) catena del valore, né pagare gli stipendi a persone il cui obiettivo è condizionare i gusti degli ascoltatori e decidere a tavolino chi deve diventare una star. I cd costano troppo, e non siamo più disposti a pagare perché costoro ci aiutino, bontà loro, a scoprire la nuova boy-band o la nuova Britney Spears.

Altre situazioni in cui possiamo disintermediare? E se finalmente disintermediassimo il più intermediato di tutti i rapporti, quello fra clienti ed aziende? Qual è la vera promessa di Internet, se non di dare finalmente la possibilità alle aziende di parlare direttamente con i propri clienti? Su Internet, il mio sito aziendale può – anzi, deve! – diventare esso stesso destinazione.

Perché comprare pubblicità quando posso parlare in prima persona? Perché affidare il mio messaggio alla pubblicità e non al mio sito? Perché non sono capace di essere onesto ed interessante, ad esempio – al punto che nessuno rimane a lungo sulle mie noiose pagine e nessuno vuole ricevere la mia newsletter. Neanche se può vincere un premio.

No, questo non vuole essere un altro attacco contro la pubblicità.
Dire che “la pubblicità su Internet non funziona” è un po’ troppo di moda – e non si capisce neppure bene cosa voglia dire. Per chi non funziona? Per chi la compra o per chi la vende? Non funziona mai? Per nessun obiettivo? Con nessun pubblico? Indipendentemente dal prezzo a cui la si compra? Davvero?

Più semplicemente, la pubblicità non è magica e non può certo coprire tutte le magagne e risolvere tutti i problemi, né quelli che riguardano il prodotto o i servizi offerti, né tantomeno quelli che riguardano un sito Internet che assomiglia troppo spesso ad una deludente brochure patinata scritta in corporatese e per il quale niente e nessuno può sperare di creare interesse.

Non solo: quella che oggi sembra una possibilità (poco sfruttata) di parlare direttamente coi propri clienti, domani potrebbe essere una strada obbligata perché potrebbe diventare molto difficile o forse addirittura impossibile fare pubblicità su larga scala come si è da sempre abituati a fare. Vediamo perchè.

Si è fatto un gran parlare, in questi anni, di New Media. Il Web è una rivoluzione perché è roba tecnologica, database, grafica, flash. Oppure: il Web è una rivoluzione perché posso bruciare 80 milioni di dollari per creare un giornale online, Salon, il cui unico pregio è di essere trendy e di sinistra, ammesso e non concesso che ciò sia un pregio.

No, non è così. Il Web è una rivoluzione per la semplicità con cui chiunque – non solo chi riesce a trovare dei finanziatori così poco avveduti – può pubblicare ciò che vuole online. Tanto per rendere un po’ l’idea, vi ricordo che fu giustamente considerato rivoluzionario il fatto che, con l’introduzione della stampa, chiunque potesse leggere la Bibbia. Blogger è Gutenberg al cubo.

Prima dell’avvento del Web, le cose erano relativamente semplici. Creo dei contenuti vagamente interessanti – oppure, spazzatura di cui la gente sembra essere felice di riempire la propria vita – e poi (s)vendo questi ascoltatori (spesso a carissimo prezzo, a dire il vero) a chi inserisce pubblicità poco interessanti. Tanto, lo fanno tutti.

Poi arriva Internet. Vagamente interessante non basta più, perché adesso i canali sono infiniti. Con i blog, chiunque può scrivere. Accanto all’inevitabile spazzatura che peraltro sembra imperare nei media tradizionali, ci saranno delle autentiche gemme che non hanno speranza altrove perché nessun editore serio e professionale che ha un’audience li pubblicherebbe mai.

Finalmente, un po’ tutti trovano contenuti interessanti. Il pubblico – un pubblico che a dir la verità è sempre meno pubblico e sempre più co-attore – si disperde. Sempre meno programmi blockbuster in grado di catturare uno share enorme di Internauti, pochi o nessun equivalente del SuperBowl, delle partite della Nazionale, dell’ultima puntata del Grande Fratello.

Piuttosto, un Web atomizzato, senza più molti spazi dove si radunano grandi masse di persone, comodi bersagli per chi vuole andare a colpire il segmento target di riferimento con i propri importantissimi messaggi pubblicitari. Forse siamo al punto in cui o si impara ad essere interessanti, oppure si è condannati all’oblio.

Massimo Moruzzi
dot-coma

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Pubblicato il
6 giu 2003
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