Il Governo ha deciso di credere ad una partnership strategica con Microsoft fino in fondo e nelle scorse settimane, come noto, ha firmato i protocolli di intesa con cui si darà vita a tre Microsoft Innovation Center , strutture per il trasferimento tecnologico alle imprese e la formazione sulla base di un modello che ha già dato vita a più di 100 altri MIC attualmente operativi nel Mondo. I MIC sono cosa ben diversa da progetti come il Microsoft Research Center di Trento ma sono un’ulteriore testimonianza della crescente centralità della corporation statunitense nella ricerca italiana, una presenza che non tutti vedono di buon occhio. Per capire quali siano le strategie e i progetti, e come intenda muoversi Microsoft nel Belpaese, Punto Informatico ha fatto quattro chiacchiere con Pier Luigi Dal Pino , Direttore Rapporti Istituzionali Microsoft Italia, a proposito del ruolo del pubblico in questi progetti, di quello delle università e di quello delle imprese, nonché di closed e open source.
Punto Informatico: Il ruolo attivo di Microsoft nella ricerca italiana che coinvolge sempre più operatori ed imprese, ed è sostenuto dal Governo, non viene applaudito da tutti. Di recente l’Associazione per il Software Libero (Assoli) ha contestato il bilancio del Centro di ricerca di Trento.
Pier Luigi Dal Pino: Il Center di Trento proprio come i Microsoft Innovation Center, che pure sono cosa diversa, è una collaborazione pubblico-privata che non ha scopo di lucro: si tratta di attività consortili in cui Microsoft detiene solo una quota e che non hanno come obiettivo la realizzazione di prodotti commerciali. Le risorse introdotte da Microsoft a Trento vanno per i salari dei ricercatori italiani, un modo per arginare il fenomeno della fuga dei cervelli ma anche un modo per aumentare l’appeal del centro per i ricercatori stranieri. Tra l’altro i ricercatori che ne fruiscono sono soggetti al regime fiscale italiano ed hanno stretti obblighi di residenza.
PI: E i fondi pubblici?
PLDP: Al contrario il denaro pubblico non viene erogato a fondo perduto ma viene concesso, dopo una procedura piuttosto lunga di valutazione, solo a fronte di progetti che siano stati approvati, esattamente come prevedono le regole di qualsiasi università italiana e a fronte di bandi di gara. Il peso in gioco è chiarissimo: per il 2005, quando Microsoft ha versato un milione di euro, lo ha fatto a fronte di nessun contributo pubblico, il che è normale, visto che solo nel 2006 sono stati presentati e accettati alcuni progetti.
PI: Dicevamo che il Centro di Trento non punta a prodotti da immettere sul mercato
PLDP: Esatto, si tratta di un Centro interamente dedicato alla ricerca scientifica nel campo dei modelli computazionali, degli algoritmi, applicati alla ricerca. L’obiettivo è quindi rendere disponibili i risultati di questa ricerca per il beneficio della comunità scientifica nella sua interezza.
PI: In che modo la comunità scientifica può trarne giovamento?
PLDP: Tutti i risultati non solo saranno resi disponibili e presentati con conferenze gratuite e attività di comunicazione sul territorio, ma saranno diffusi attraverso pubblicazioni, lasciando tutti gli strumenti sviluppati dal Centro in libera fruizione per chiunque volesse adottarli. L’unico limite all’utilizzo sono gli scopi commerciali.
PI: Una sorta di Creative Commons: usalo come vuoi quando vuoi ma non a scopo di lucro?
PLDP: La proprietà intellettuale è condivisa dal consorzio, a metà tra Microsoft e università, e la cosa assume un senso in caso qualcuno intenda sfruttare commercialmente questo o quello strumento, e ciò vale anche per Microsoft. Ma bisogna sottolineare che fino ad oggi non sono stati realizzati prodotti software, perché non rappresentano lo scopo finale del progetto, che è invece quello della ricerca pura. Si dovesse pensare ad un prodotto bisognerebbe pensare alle licenze, che sarebbero nel caso inevitabilmente aperte per la natura stessa del Centro: non solo, le analisi, il codice, è già tutto disponibile per essere analizzato. Non a caso il codice viene sviluppato su piattaforme varie, da Linux a Windows, a Mac.
PI: In che modo i Research Center (MRC) si differenziano dagli Innovation Center (MIC), come quelli che nasceranno in Piemonte, Campania e Toscana attorno a tecnologie per i beni culturali, il monitoraggio del territorio o i sistemi embedded?
PLDP: Entrambi sono senza fini di lucro, entrambi i soggetti vedono le università partner al 50 per cento. I MIC intendono però uscire dall’ambito della ricerca pura per impegnarsi maggiormente in un’attività sul territorio, fatta di collaborazione con le aziende locali, senza alcuna discriminazione sul software o sui modelli di business dell’impresa, open source o commerciale. Anzi spesso prendono vita partnership ibride, con convivenza tra software open source e commerciale.
PI: I ministeri che hanno sottoscritto l’accordo condividono l’opinione che i MIC possano contribuire ad una crescita di conoscenza, di tecnologie e di innovazione sul territorio. In che modo questo potrebbe avvenire?
PLDP: Un MIC viene creato per la formazione di un territorio, risponde cioè ad esigenze territoriali. Non a caso stanno nascendo in Piemonte, Campania e Toscana, perché ci sono eccellenze, in particolare nelle università, e c’è un terreno fertile per aprire una collaborazione. Al centro c’è la formazione e con la collaborazione delle imprese locali si punta al trasferimento tecnologico, vale a dire il trasferimento alle piccole e medie imprese di quella conoscenza la cui scarsa presenza oggi si traduce in un pesante svantaggio competitivo rispetto ai contesti internazionali.
PI: Non si punta quindi a realizzare prodotti da commercializzare?
PLDP: Se i progetti sviluppati con le università partner e le imprese locali andassero nel migliore dei modi si potrebbe persino arrivare allo sviluppo di soluzioni prototipali, come effetto della ricerca applicata. Poi è da lì che eventualmente potrebbero essere realizzati dei prodotti, finanziati in un contesto nazionale o internazionale, ma questo non ha già più nulla a che vedere con il MIC. Non è questo peraltro l’obiettivo, che è tutto puntato sulla formazione e il trasferimento. Non a caso i Ministeri hanno risposto attivamente a questa iniziativa, perché risponde ad esigenze specifiche di crescita nell’innovazione e nella collaborazione con le piccole e medie imprese senza alcuna preclusione sul modello di business adottato. PI: Se molta dell’attività del MIC si fonda su una rete di relazione con le piccole e medie imprese locali, che consigli si possono dare a quelle attività che volessero avvicinare i costituendi MIC?
PLDP: Quando partiranno, i MIC condurranno un’attività diretta sul territorio: in questo contesto la cosa più importante che servirà ad una società esterna che voglia avvicinarsi al Centro è avere un’idea, da studiare ed elaborare e un domani magari anche capace di dare concretezza a quelle ambizioni prototipali di cui parlavamo prima, un’idea che permetta all’Università e a Microsoft di poter valutare il progetto, capire quali scopi e obiettivi possano essere portati avanti.
PI: È ancora presto, i MIC sono ancora in via di costituzione, ma che reazione vi attendete dalle imprese italiane?
PLDP: Le società sul territorio stanno già avendo una reazione positiva, anche perché sono a conoscenza dei progetti di MIC dalle associazioni industriali e di impresa. Una volta costituito definitivamente il consorzio, si faranno avanti in un’ottica di rete di sviluppo, di condivisione e collaborazione senza discriminazioni: in questo senso si sente tutta l’importanza di un modello di sviluppo ispirato all’open source, che punti sulla comunità, sulla rete di relazione e sul territorio.
PI: La creazione di queste reti di lavoro collaborativo, di sviluppo tecnologico congiunto di progetti in settori chiave come i beni culturali o il monitoraggio del territorio, non rischia di creare posizioni di forza e di fatto, di imprese collegate ai MIC che possano imporsi a scapito della concorrenza a fronte di gare pubbliche in questi ambiti così specialistici?
PLDP: È bene sottolineare che il MIC non ha per statuto né per obiettivo la possibilità di dar vita a raggruppamenti di imprese. Il lavoro che si può svolgere al MIC e con il MIC è quello della ricerca pre-competitiva e non certo la commercializzazione di risultati, tantomeno la partecipazione ad eventuali gare pubbliche. Se si accede a finanziamenti è solo per scopi di ricerca applicata, e se avviene è in modo non esclusivo. Se si guarda alla Campania c’è un sempre crescente numero di imprese che si muove anche in sovrapposizione con quanto è negli obiettivi del MIC.
PI: La formazione che viene innescata dai MIC tocca in qualche modo gli studenti?
PLDP: Microsoft ha da tempo un progetto di formazione con le università, Student to Business , per inserire giovani di valore all’interno dell’ecosistema dei partner di Microsoft: i MIC agevolano ancora di più questo percorso, un percorso ormai internazionale seppure nato proprio in Italia, tanto che abbiamo già inserito più di 400 ragazzi nel mondo del lavoro in questo ambito.
PI: I MIC nel mondo sono ormai più di 100, è possibile disegnare un quadro dei risultati? Che cosa sta producendo questa iniziativa che prevede collaborazioni pubbliche-private e che tocca ormai tanti diversi paesi?
PLDP: Nel mondo i MIC sono 120 sparsi in 60 paesi ed entro il 2009 ci siamo proposti di arrivare a quota 200. I risultati maggiori sono nella formazione, parliamo di decine di migliaia di sviluppatori che hanno collaborato e collaborano giornalmente in ogni singolo center. L’altro valore aggiunto è l’aggiornamento tecnologico del personale che lavora nelle aziende ICT.
Nei paesi emergenti queste attività hanno stimolato la nascita di un’industria locale del software, come accaduto in Serbia e Montenegro, mentre nelle economie mature tende ad aumentare la competitività delle aziende locali nel contesto internazionale. Un appuntamento rilevante è quello del 2008 a Barcellona, dove verrà aperto un MIC con l’obiettivo specifico di aumentare la produttività delle aziende della pubblica amministrazione spagnola.
a cura di Paolo De Andreis