Il motore di ricerca censurato approntato da Google e destinato alla Cina, con tutta probabilità, non andrà mai online. A riportarlo è la testata The Intercept, la stessa che all’inizio di agosto per prima aveva parlato del progetto, noto con il nome in codice Dragonfly. Un’iniziativa che sembra ora essere stata accantonata, in conseguenza ai timori sollevati sia all’interno del gruppo di Mountain View sia nelle istituzioni americane: anche la Casa Bianca di recente ha espresso preoccupazioni in merito.
Google ferma il progetto Dragonfly
Il tema è stato oggetto di dibattito anche la scorsa settimana, quando Sundar Pichai ha fatto la sua comparsa di fronte al Congresso USA per sciogliere alcuni dubbi riguardanti l’attività di bigG. Allora il CEO disse che il lancio non è mai stato concretamente pianificato, nonostante diverse voci di corridoio parlassero di un esordio fissato già per l’aprile 2019. Ora l’alt sembra deciso, in risposta alle tante critiche mosse, provenienti anche dal team interno a Google al lavoro sulla privacy, tenuto per lungo tempo all’oscuro del programma.
Sebbene lo stop non sia ufficiale, diverse fonti parlano dell’interruzione dell’attività per il sistema di analisi dei dati finalizzato alla raccolta e alla catalogazione delle informazioni da indicizzare. Uno strumento senza il quale, di fatto, risulterebbe impossibile portare a termine la realizzazione del motore di ricerca.
265.com
Google avrebbe per lungo tempo raccolto informazioni in merito alle abitudini di ricerca dei cittadini cinesi analizzando le query digitate dagli utenti nel paese asiatico attraverso il sito 265.com. L’indirizzo del portale, che si autodefinisce “la homepage più utilizzata di tutta la Cina”, è stato acquisito da bigG nel 2008 da Cai Wensheng, un imprenditore locale. Visitandolo si può accedere a un feed con le ultime notizie, dati sull’andamento del mercato finanziario, oroscopo e inserzioni pubblicitarie con offerte su voli e hotel.
265.com funge anche da motore di ricerca, rimbalzando però i termini digitati su Baidu, la piattaforma più popolare di tutto lo stato (nonché il principale concorrente di bigG). Prima di effettuare il redirect, però, il gruppo di Mountain View avrebbe fino ad oggi raccolto le query al fine di esaminarle. Un tool chiamato BeaconTower è stato utilizzato per mettere a confronto le SERP mostrate da Google e quelle di Baidu per le stesse chiavi di ricerca, così da individuare i risultati da omettere poiché soggetti a censura. Tra questi tutti quelli relativi all’enciclopedia online Wikipedia e al network britannico BBC. Sulla base di questi dati è nata la prima versione preliminare di Dragonfly.
La pratica è rimasta nascosta per lungo tempo al team interno di bigG al lavoro sulla privacy, per poi essere interrotta una volta venuta alla luce. Da lì in poi, al fine di perfezionare il progetto, non sono più state utilizzate le query provenienti da 265.com, ma solo quelle digitate su Google dai cittadini cinesi di tutto il mondo, con una qualità dei risultati ottenuti però ritenuta non all’altezza.
Ad oggi il dominio di secondo livello 265.com risulta ancora gestito da Google, associato a una sussidiaria del gruppo, la cui sede è collocata al terzo piano di un edificio nel distretto Haidian della capitale Pechino. Al contrario di quanto avviene con Google.com o YouTube, l’accesso non è bloccato dal Great Firewall cinese.
Il motore di ricerca censurato
Proprio per via della sua natura, Dragonfly è stato preso di mira da pesanti critiche fin dalla circolazione delle prime voci di corridoio in merito. Una piattaforma soggetta a censura, strutturata in modo da escludere dalle pagine dei risultati link per l’accesso a informazioni, tematiche o documenti non visti di buon occhio da Pechino: da quelli riguardanti i diritti umani fino alla religione, sesso, movimenti di protesta e altro ancora. Tutto questo attraverso una blacklist compilata ad hoc.
Da Google non sono giunti commenti né dichiarazioni in merito allo stop del progetto.