L’apparentemente impermeabile cortina fumogena del DMCA statunitense mostra le prime crepe: un giudice federale ha stabilito la legittimità della circonvenzione delle protezioni DRM quando tale circonvenzione non implica la contemporanea infrazione di un qualsivoglia diritto d’autore. Il mero uso di dispositivi blindati al di là della blindatura non costituisce reato , ha deciso il giudice.
La sentenza, emessa dalla Corte di Appello dei Quinto Circuito con sede a New Orleans, ha riguardato il caso MGE vs. General Electric con la prima – produttrice di sistemi UPS e software protetti con l’autenticazione a mezzo chiavetta USB – impegnata a denunciare la seconda per l’utilizzo continuato del software nonostante i token fossero oramai scaduti.
Il primo grado se l’era assicurato MGE, ma in appello le cose sono andate diversamente e la Corte ha stabilito che “la mera circonvenzione di una protezione tecnologica che restringe un utente dalla visione o dall’utilizzo di un’opera è insufficiente per far scattare i provvedimenti anti-circonvenzione del DMCA”. “La misura tecnologica imposta dal proprietario – continua la sentenza – deve proteggere il materiale sotto copyright contro un’infrazione del diritto protetto dal Copyright Act, non dai semplici utilizzo o visione”.
È interessante sottolineare come la sentenza anti-DRM arrivi a margine di un caso che non riguarda intraprendenti smanettoni quanto piuttosto un gigante tecnologico impossibilitato a lavorare a causa delle protezioni innalzate dal produttore.
Anche così, a ogni modo, la decisione della Corte di Appello di New Orleans va in controtendenza rispetto alle sentenze precedenti in merito di DRM e protezioni anti-circonvenzione codificate dal DMCA. Si tratta di un precedente importante a cui potrebbero seguirne molti altri sino a portare alla richiesta esplicita di una nuova – e più moderata – legislazione in materia.
Alfonso Maruccia