Non sembra esserci più pace per DROID X, il nuovo prodotto di punta di Motorola che pure sta andando a ruba nei negozi statunitensi. Un vero e proprio androide da combattimento , trasformatosi ben presto in uno smartphone kamikaze . Un dispositivo in sostanza blindato, grazie ad una tecnologia capace di riprogrammare in tempo reale le memorie compromesse da eventuali azioni esterne dell’utente.
DROID X è ora finito sotto un nuovo fuoco incrociato , dal momento che è risultato difficile – se non impossibile – rimuovere alcune applicazioni non-standard installate di default . Junkware , software spazzatura in sostanza, presente sia sul nuovo dispositivo di Motorola che su quelli targati Samsung (negli USA vanno sotto il nome di Vibrant).
Una prima applicazione, ad esempio, permette agli utenti di conoscere il punto vendita BlockBuster più vicino, oltre che di scaricare film a pagamento in versione mobile . Ma c’è un piccolo dettaglio: non pare assolutamente possibile disinstallare l’app . Possibilità che invece pare garantita per una versione demo del gioco Need For Speed: Shift , anch’essa pre-installata sul software di DROID X.
Situazione peggiore per Vibrant, che presenta – tra le altre – un’applicazione legata al kolossal Avatar e un’altra non affatto aggiornata di Kindle. A seguire, un link per l’installazione di The Sims 3 e un’altra app di Slacker Radio , che tuttavia richiede una registrazione via mail per un periodo di prova gratuito di 30 giorni. Tutti questi contenuti non sarebbero attualmente eliminabili .
E c’è chi è tornato a parlare del processore eFuse, responsabile della blindatura di DROID X. Ovvero della tecnologia creata da IBM che costringerebbe qualsiasi aspirante hacker a portare il suo smartphone in assistenza per poi pagare per il ripristino del codice originale necessario al reboot del dispositivo . Una tesi non completamente vera.
Stando infatti a quanto osservato – e dato pure un comunicato ufficiale della stessa Motorola – ad attendere il dispositivo manomesso ci sarebbe un più morbido recovery mode , che non obbligherebbe l’utente a recarsi presso un centro assistenza. In pratica, dopo il riconoscimento di un software non approvato, lo smartphone eseguirebbe il reboot a patto che si reinstalli quello originario .
Nel frattempo, pare che Google abbia apposto l’ultimissimo chiodo sulla bara del suo device Nexus One. Uno smartphone mai apprezzato dagli utenti a stelle e strisce, che infatti verrà mantenuto sui soli mercati di Europa e Asia . Una decisione che è parsa inevitabile, dopo la chiusura due mesi fa del relativo web store .
Mauro Vecchio