Una grossa scommessa quella di Dropbox alla sua conferenza per gli sviluppatori DBX : trasformare il cloud storage in una piattaforma cloud per i dati, di qualunque tipo , integrando i servizi direttamente nelle applicazioni per il Web, Android e iOS. L’ API Datastore , gratuita, servirà a sincronizzare i dati tra le diverse piattaforme, garantire che i salvataggi di gioco siano disponibili su tutti i device dello stesso proprietario, permettere di allegare i propri file alle email ovunque ci si trovi. Sempre che gli sviluppatori decidano di adottarla.
Il programma, la roadmap che ha in testa il CEO Drew Houston , consiste nell’integrazione graduale di queste funzioni nelle app altrui: inizia Mailbox ( acquisita da Dropbox poche settimane fa), e in prospettiva secondo l’azienda dovrebberlo farlo in tanti (hanno già cominciato Yahoo! con la sua Mail e Shutterstock) anche sfruttando i cosiddetti drop-in che con poche righe di codice permettono di integrare elementi coerenti alla UI che semplifichino l’adozione delle API stesse. Le stesse API sono inoltre in grado di gestire l’asincronicità dei dati salvati mentre il device si trova offline (esempio classico: l’utente si trova in volo e non ha accesso a Internet), permettendo di garantire in modo trasparente l’aggiornamento delle proprie informazioni sulle diverse piattaforme.
L’obiettivo di Dropbox è andare oltre il disco rigido : il concetto futuribile sostenuto dall’azienda cloud è la scomparsa progressiva del paradigma della cartella di archivio per consentire la presenza e l’esistenza dei propri dati e dei propri file a prescindere dal contesto, magari da spostare di volta in volta tramite la copia diretta o tramite un qualsiasi dispositivo portatile (le chiavette USB?). Ovunque ci si trovi , nella casella di posta o in un programma di elaborazione testo, sul proprio PC o su un telefono, tutto dovrebbe essere coerentemente disponibile e aggiornato .
Rispetto ai concorrenti, Dropbox snocciola numeri impressionanti: 175 milioni di utenti registrati (in crescita sostanziale dall’ultima comunicazione: erano 100 milioni lo scorso novembre ), migliaia di applicazioni che già utilizzano i suoi servizi. Sembra abbastanza per convincere gli sviluppatori ad appoggiarsi alle nuove API, che di fatto consentirebbero ad esempio di replicare le funzioni di iCloud su iOS o Gdrive su Android, accentrando le stesse funzioni con lo stesso codice e senza doversi preoccupare di coerenza dei dati tra le diverse piattaforme. L’unico dubbio riguarda in prospettiva la monetizzazione dei servizi: a oggi non è dato sapere quanti dei 175 milioni di utenti Dropbox siano paganti ( alcuni ritengono i prezzi del servizio premium poco competitivi), e se queste API prendessero piede l’azienda potrebbe essere tentata di far pagare gli sviluppatori per ogni chiamata. Ma questa è una eventualità che al momento non è stata ancora contemplata.
Luca Annunziata