Dmitry Shevelenko, Business Officer di Perplexity, inizialmente aveva rifiutato di testimoniare nel processo antitrust contro Google. Il motivo? La paura di ritorsioni da parte di Big G. Ma dopo essere stato citato a comparire in tribunale, Shevelenko ha cambiato completamente registro. Ha colto l’occasione per fare una proposta commerciale a sorpresa: acquistare Chrome.
Anche Perplexity si fa avanti per acquistare Chrome
Il destino di Chrome potrebbe essere appeso a un filo. Se il giudice Amit Mehta darà ragione al Dipartimento di Giustizia, Google potrebbe essere obbligata a scorporare il suo popolare browser web, incluso Chromium, la versione open source su cui si basano molti altri browser. Un’ipotesi che Google considera pericolosa, temendo che un nuovo proprietario possa far pagare il prodotto o non gestirlo adeguatamente, con ripercussioni su tutto il settore.
Ma Perplexity non si fa spaventare dalla sfida. Anzi, Shevelenko si è detto convinto che la sua azienda possa gestire un browser delle dimensioni di Chrome senza compromettere qualità o gratuità. Non è la prima volta che la giovane startup di AI si candida a rilevare una grande piattaforma tecnologica sotto assedio del governo USA: aveva già manifestato interesse per TikTok, minacciata di ban per timori di sicurezza nazionale legati alla proprietà cinese di ByteDance.
Perplexity si toglie qualche sassolino dalla scarpa…
Sebbene Shevelenko non fosse un testimone volontario (è stato convocato dal DOJ per dimostrare l’impatto del monopolio di Google sulle nuove aziende di AI generativa), non si è fatto sfuggire l’occasione per elencare i suoi reclami contro il colosso di Mountain View. Ha descritto la “giungla” di impostazioni di Android che un utente deve affrontare per impostare Perplexity come assistente AI predefinito, ammettendo di aver dovuto chiedere aiuto a un collega per farlo (lui stesso è un fedele utente iPhone). E anche quando l’assistente di Perplexity è impostato come predefinito su Android, non ha lo stesso status di Google: l’utente deve premere un pulsante per attivarlo, invece di usare una parola di attivazione come “Hey Google”.
Shevelenko ha poi passato in rassegna una lista anonima di produttori di telefoni con cui Perplexity ha cercato di stringere accordi per diventare il motore di ricerca predefinito o l’assistente vocale principale sui dispositivi venduti negli USA. Tutti i tentativi sono falliti miseramente. I negoziati si sono arenati perché l’azienda temeva di compromettere il proprio rapporto con Google, e di conseguenza di perdere una quota significativa delle entrate. Secondo Shevelenko, le aziende che hanno un contratto con Google si trovano in una posizione di forte dipendenza. È come se avessero una “pistola puntata alla testa”, basta un passo falso per rischiare che Google tagli i fondi o revochi accordi strategici.
Il giudice Amit Mehta, nella causa antitrust contro Google, ha già stabilito che l’azienda utilizza accordi esclusivi con produttori di telefoni e browser per consolidare il proprio dominio nel mercato della ricerca online. Questi accordi impediscono, di fatto, ad altri motori di ricerca di emergere, perché limitano la possibilità per le aziende partner di collaborare con concorrenti di Google.
In pratica, Google blocca i principali “canali di distribuzione” – come la schermata iniziale dei telefoni o il motore di ricerca predefinito nei browser – riservandoli solo a sé. Inoltre, molti di questi accordi contengono clausole che vietano espressamente alle aziende di stipulare contratti con servizi alternativi che potrebbero minacciare la posizione dominante di Google sui loro dispositivi.
Il caso Motorola
Shevelenko ha citato un’altra azienda anonima (che in base a notizie pubblicate sembra essere Motorola) che aveva accettato di preinstallare Perplexity sui suoi dispositivi, ma non di renderlo l’assistente predefinito, “nonostante entrambe le parti lo volessero“. Lui e l’azienda “hanno provato ogni escamotage creativo” per aggirare le restrizioni di Google, ma anche se l’azienda pensava che l’assistente di Perplexity sarebbe stato “ottimo per i suoi utenti“, non hanno trovato il modo di “uscire dai loro obblighi con Google” e scalzarlo come predefinito.
Perplexity teme che Chrome possa finire nelle mani sbagliate (di OpenAI)
Shevelenko riconosce che l’unica ragione per cui oggi Perplexity riesce anche solo a intavolare trattative con produttori di telefoni (come Samsung), browser e operatori mobili è che Google è sotto il fuoco dell’antitrust. Dopo la recente sentenza che ha dichiarato il suo monopolio nella ricerca online, molte aziende ora si sentono più libere di valutare alternative a Google.
Tuttavia, nonostante Perplexity sia interessata ad acquistare Chrome, Shevelenko non vede di buon occhio l’idea che Google sia costretta a vendere il suo motore di ricerca, e soprattutto che finisca nelle mani di OpenAI.