Time Warner non vuole farsi trovare impreparata quando l’epoca della carta finirà e, per non dover trovarsi a dipendere solo ed esclusivamente dall’advertising online, ha rivelato di essere pronta ad affidare le proprie testate al paventato tablet di Apple o a suoi equivalenti. Una mossa con la quale, analogamente ad altri editori, spera di trovare riparo dalla tempesta che sta coinvolgendo il settore.
Da mesi ormai fioriscono quasi a cadenza fissa nuovi dispositivi di fruizione di contenuti proprietari commissionati anche dagli editori. Nel caso di Time Warner, che si aggiunge così alla lista di soggetti editoriali che nel corso del 2009 hanno scelto di tentare la via degli ereader, non sono ancora stati forniti ulteriori dettagli tecnici. Lo stesso tablet Apple non è mai stato confermato dall’azienda di Cupertino e rimane, almeno per ora, solamente un rumor .
L’annuncio della più grande casa editrice statunitense si colloca quindi in uno scenario più ampio: l’editoria cartacea sta lentamente declinando , spinta anche da un maggiore sensibilità nei confronti dell’ambiente, man mano che i nativi digitali aumentano e il computer diventa sempre più corsia preferenziale dell’informazione .
Le notizie vengono lette attraverso aggregatori di vario genere a discapito dei vettori tradizionali. Google News, per esempio, indicizza articoli provenienti da varie fonti e per questo da mesi è il bersaglio preferito di uno dei maggiori gruppi editoriali del mondo: Rupert Murdoch, chairman di NewsCorp, non si risparmia e continua a muovere accuse a BigG sostenendo che l’azienda di Mountain View ruberebbe contenuti per donarli illegalmente agli utenti . Danneggiando l’economia del settore che gira intorno alla pubblicità e a modalità di sottoscrizione a pagamento.
Come Murdoch anche altri editori stanno facendo i conti con il calo degli introiti provenienti dalla carta stampata, e piano piano si starebbero convincendo a fare i conti anche con il futuro. Se da una parte il tycoon australiano ha optato per la linea dura, altri editori come appunto Time Warner sembrano prediligere lo sviluppo di nuovi strumenti per far sì che le notizie rimangano letteralmente nelle mani degli utenti, la cui fame di informazioni, e di cultura in generale, non accenna invece a scemare.
Google, che per venire incontro alle richieste dei gruppi editoriali ha anche cambiato la policy di accesso alle news a pagamento, è doppiamente protagonista perché occupa una posizione trasversale in un quadro che tocca vari settori. Oltre ad avere attuato un’imponente opera di digitalizzazione con Books Search , è impegnata ormai da otre un anno in una battaglia legale con gli editori USA prima, e con il Dipartimento di Giustizia statunitense poi per alcuni dubbi sollevati sulla legalità del suo operato. BigG ha costruito un database da centinaia di migliaia di titoli non più tutelati dal diritto d’autore: sono andati a costituire una biblioteca virtuale definita da Sergey Brin come un’ arca della cultura e come un pericolosissimo concorrente dai signori della carta stampata.
Cambiano le modalità e si affinano le tecniche ma l’idea che sta alla base del modo di fare degli editori rimane immutata: si interrogano su nuovi stratagemmi per rendere le news remunerative , insistendo su paradigmi che sembrano gradualmente perdere efficacia. Favoriscono un modello di business le cui fondamenta stanno inesorabilmente crollando sotto i colpi assestati dalle potenzialità della Rete.
Giorgio Pontico