Secondo la stampa internazionale , l’Egitto è apparentemente riuscito a staccare completamente la spina alla Rete per tentare di reprimere il dissenso.
L’interruzione totale del servizio, durata mezz’ora, è un evento che, secondo gli esperti potrebbe accadere in un paese come l’Egitto ma non, ad esempio, negli Stati Uniti, grazie all’alto numero di fornitori di connettività e per la varie modalità di connessione disponibili oltroceano. “Non può accadere qui” spiega Jim Cowie, capo dell’ufficio tecnologie e cofondatore di Renesys, azienda che si occupa di sicurezza dei network con sede nel New Hampshire. Il blackout egiziano dimostra che un paese con un forte controllo sui provider può ordinare di staccare la spina improvvisamente, un evento che lo stesso Cowie definisce “quasi senza precedenti nella storia di Internet”.
Il grafico che disegna il traffico online del 27 gennaio da e per l’Egitto è senza dubbio impressionante: si osserva un calo repentino delle connessioni intorno alla mezzanotte locale. Il governo di Mubarak negherebbe l’interruzione delle comunicazioni che, notano alcuni, si sarebbe verificata subito prima della protesta allargata organizzata da più di trenta moschee e chiese.
Secondo Resneys, l’eclissi totale di Internet provocata in Egitto è un fatto completamente differente dal caso tunisino, caratterizzato da una modesta manipolazione della Rete, o dall’Iran, paese in cui Internet è rimasta in piedi secondo modalità predisposte appositamente per rallentare enormemente le connessioni: “L’azione del governo egiziano ha sostanzialmente cancellato il paese dalla mappa globale”, chiosa Renesys. L’unico sopravvissuto all’isolamento sembra essere il provider Noor Data Networks , utilizzato dalla Borsa egiziana.
Anche Facebook ha subito un brusco arresto del traffico : “Siamo certi dei report sull’interruzione del servizio, ma non abbiamo notato nessun cambiamento importante nel traffico dall’Egitto”, afferma un portavoce di Palo Alto.
Tuttavia, nonostante il tentativo del governo egiziano di bloccare il traffico di notizie sugli scontri che in questi giorni stanno interessando il paese, la mobilitazione online di attivisti e giornalisti resiste e tenta di alzare la voce.
Si segnala , ad esempio, che una pagina Facebook sostenitrice del movimento di protesta contro il presidente Mubarak abbia segnato negli ultimissimi giorni quota 80mila fan. Seguendo commenti di Twitter recanti tag come #Cairo e #Suez , ci si trova davanti a un grande flusso di cinguettii, anche se non manca una discreta quantità di chiacchiere, invenzioni e iperboli.
Per questo motivo, separare la parte di informazioni buone da quelle fallaci diventa un lavoro alquanto impegnativo. Tuttavia, i social media stanno ricoprendo un notevole ruolo di supporto alle indagini dei giornalisti, dal momento che raggiungere fisicamente alcune località calde (come Suez) è diventato complicato e rischioso per la gravità delle violenze consumate. Ma il flusso di tweet, aggiornamenti dai blog, foto e video girati con i cellulari riescono a fornire un quadro abbastanza chiaro dell’evoluzione della situazione.
E il primo sostegno autorevole alla riapertura del traffico online arriva dal Segretario di Stato statunitense, Hillary Clinton. “Il governo egiziano non può bloccare le proteste pacifiche e staccare la spina alle comunicazioni, inclusi i social media”, ha affermato la leader democratica. Secondo Ethan Zuckerman, ricercatore di Harvard, la difesa dei social network da parte di Hillary Clinton rappresenta un delicato atto di equilibrio, viste le relazioni di vecchia data esistenti tra USA ed Egitto.
E la prima reazione online al blackout si attende dal gruppo Anonymous , il quale, attraverso l’ Operazione Egitto , ha intenzione di manomettere molte informazioni governative nonché alcuni siti dei ministeri.
Cristina Sciannamblo