EMI ha l’obiettivo di innescare una reazione a catena: non solo brandisce una azione legale nei confronti di un motore di ricerca per file in streaming, ma fa riverberare la denuncia su coloro che del servizio abbiano integrato le API.
SeeqPod è da tempo nel mirino dell’industria della musica: si configura come un gatekeeper di file che scorrono in rete , fornisce un’interfaccia e un player che consentono di accedere a file disseminati online, ospitati sui server più remoti. Alla denuncia di Warner, mossa nel 2007, è seguita ora quella di EMI: in entrambi i casi si denuncia SeeqPod per violazione del diritto d’autore. SeeqPod, intermediario fra il netizen e i contenuti postati da altri netizen, indirizza il cittadino della rete verso file che non ospita ma che si limita a visualizzare: la fattispecie dovrebbe essere protetta dalle garanzie offerte dai safe harbor del DMCA, l’intermediario dovrebbe provvedere a riparare alle violazioni solo su segnalazione. Ma l’industria ha chiesto di più.
Nella denuncia , sporta direttamente nei confronti del management , EMI intende dimostrare che SeeqPod “riproduce, distribuisce e/o esegue in pubblico, incoraggia, induce, contribuisce e trae profitto dalla riproduzione, dalla distribuzione dall’esecuzione o dall’esecuzione da parte di terzi di musica protetta da copyright, fra cui fonogrammi e composizioni musicali possedute o controllate da EMI”. Poco importa che SeeqPod non ospiti i contenuti ma si limiti ad agire da snodo fra risorse pubblicate altrove in rete: EMI ritiene che basti il solo rilancio del materiale per definire la violazione.
Ma non è tutto: la denuncia di EMI investe anche uno sviluppatore , Ryan Sit. La sua colpa sarebbe quella di aver combinato le API di SeeqPod con API rilasciate da altri servizi per costruire Favtape , ora offline, un mashup che consente agli utenti di comporre e condividere playlist. EMI sembra perseguire l’intento di innescare un effetto domino che si possa diramare ed estendere a tutti i servizi che abbiano a che fare con SeeqPod, nonostante la stessa SeeqPod si limiti ad essere un motore di ricerca con player integrato.
Ad esporsi in prima persona nel commentare la denuncia è Michael Robertson , eclettico imprenditore nel mirino delle major, già bersaglio di EMI per le sue attività musicali online. Robertson si scaglia contro la strategia dell’industria dei contenuti, sottolinea come le denunce sporte direttamente contro imprenditori e fondatori di aziende con molte probabilità risultino nella cessione delle armi da parte della difesa, incapace di sostenere battaglie legali al di sopra delle sue possibilità.
Robertson osserva inoltre come quello innescato da EMI sia il primo caso di denuncia che si irradi da un servizio a coloro che si avvalgono delle API che mette a disposizione. Sono numerosi i servizi che si fondano sulle interfacce di programmazione di SeeqPod: tutti potrebbero essere raggiunti da richieste di risarcimento, poco importa che se le major avessero successo con SeeqPod tutti i servizi che vi si appoggiano crollerebbero come un castello di carte. “Se coloro che usano delle API potessero essere considerati responsabili – spiega Robertson – sarebbe una minaccia al funzionamento di Internet”. “Internet è interconnessa, non solo fra utente e utente, ma anche fra servizio e servizio – affonda – Se non ti puoi connettere, Internet non esiste”.
Gaia Bottà