Piaccia o meno, gli emoji sono entrati a far parte del nostro lessico, del nostro modo di comunicare. Mezzo espressivo dalla natura prettamente grafica, spesso impiegati come complemento visivo a un messaggio testuale, sono oggi parte integrante degli scambi veicolati attraverso le applicazioni di chat così come sulle bacheche dei social network. Stanno assumendo importanza anche nelle aule di tribunale.
Emoji a processo
A testimoniarlo lo studio condotto da Eric Goldman, docente della facoltà di giurisprudenza della Santa Clara University. Effettuando una scansione dei documenti relativi ai procedimenti giudiziari depositati dalle corti statunitensi dal 2004 a oggi, emerge che il riferimento ai termini “emoji” ed “emoticon” è in costante crescita, come si può notare dal grafico visibile di seguito. Oggi la forma più utilizzata è la prima, “emoji”, mentre solo un paio di anni fa era il contrario.
Che alle faccine o ai simboli scambiati in una chat possa essere attribuito il valore di prova in tribunale non è cosa nuova. Di seguito lo screenshot del messaggio citato in un procedimento andato in scena in Israele negli anni scorsi: da una parte il proprietario di un’abitazione, dall’altra un potenziale affittuario. Il giudice ha ritenuto che gli emoji utilizzati da quest’ultimo nel messaggio spedito equivalgano alla conferma della volontà di affittare l’alloggio, promessa poi disattesa lasciando il padrone di casa a bocca asciutta.
Ancora, un giudice di San Francisco dovrà stabilire, nella cornice di un caso relativo al presunto sfruttamento della prostituzione, se il messaggio inviato da un imputato a una ragazza è sufficiente a dimostrarne la colpevolezza: raffigura una corona, una scarpa con i tacchi e un sacco di denaro. Secondo l’accusa il significato è di facile lettura, mentre la difesa non lo ritiene prova valida per una condanna.
Un emoji, più interpretazioni
Ad oggi non si dispone di linee guida da seguire e i precedenti si contano sulle dita di una mano. Un altro fattore da considerare è come gli emoji vengano mostrati con modalità differenti sulle varie piattaforme: lo stesso simbolo, su Android o iOS, può essere visualizzato e interpretato in modo diverso. Esemplare il caso della cosiddetta “Beaming Face With Smiling Eyes”, come ben sintetizzato dall’immagine qui sotto che riassume i risultati di una ricerca condotta da GroupLens.
C’è chi gli attribuisce una valenza positiva e chi neutrale o addirittura negativa, a seconda di come le piattaforme lo rappresentano. Ciò significa che l’emoji inviato a un contatto con l’intenzione di veicolare un particolare messaggio non scritto o un determinato stato d’animo può potenzialmente essere frainteso dal destinatario se ricevuto e visualizzato su un dispositivo con altra piattaforma, indipendentemente dal contesto della conversazione. Questo nonostante la definizione standard fornita da Unicode. Per il simbolo in questione riportiamo la descrizione fornita da quella che è forse la più affidabile tra le fonti online sul tema, Emojipedia.
Una faccia gialla con occhi sorridenti e un sorriso a denti stretti, come se stesse dicendo “Cheese!” per la fotocamera. I denti possono essere tratteggiati o meno. Spesso esprime una felicità raggiante e gratificata. Il tono varia, diventando caloroso, ridicolo, divertito e orgoglioso.