Dopo aver spinto Microsoft a sborsare una somma tuttora ignota di denaro per l’infrazione di un suo brevetto inerente i browser web, Eolas Technologies torna alla carica chiamando in causa altri 23 colossi dell’ Information Technology nella speranza che questi paghino “il giusto” per lo sfruttamento (sin qui) non autorizzato di due brevetti legittimamente riconosciuti dallo US Patent and Trademark Office.
Ora come allora il principale motivo del contendere è rappresentato dal brevetto ‘906 , concesso a Eolas nel 1998 per l’integrazione di applicazioni esterne all’interno del browser sotto forma di plug-in, a cui va ad aggiungersi il brevetto ‘985 che l’ USPTO statunitense ha recentemente assegnato alla società, riguardante invece l’utilizzo estensivo di tecnologie AJAX (Asynchronous JavaScript and XML) per l’aggiunta di funzionalità pienamente interattive ai siti web.
A Microsoft toccò capitolare in appello quando l’ufficio brevetti decretò le ragioni di Eolas. A nulla valse l’entrata in gioco nientemeno che del padre del World Wide Web Tim Berners Lee e Redmond fu infine costretta a modificare le proprie tecnologie di estensione delle funzionalità di Internet Explorer oltre a pagare una quantità di denaro sconosciuta (a fronte dei 500 milioni e oltre inizialmente richiesti da Eolas).
E dopo essere riusciti a spuntarla su Microsoft, hanno dunque pensato i legali della società, perché non rivalersi anche su (tra gli altri) Google, Adobe, Apple, Sun, Blockbuster, JP Morgan Chase, Playboy, Yahoo!, eBay, Amazon, City Group, Go Daddy e Texas Instruments, tutti autori – a detta dei summenzionati avvocati – di sfruttamento indebito di tecnologie proprietarie per anni di business col vento in poppa?
“Abbiamo sviluppato queste tecnologie più di 15 anni fa e le abbiamo ampiamente messe alla prova, anni prima che il mercato fosse a conoscenza di applicazioni interattive integrate nelle pagine Web collegate a capaci risorse remote”, dice il presidente di Eolas Michael Doyle. “Trarre profitto dalle innovazioni di qualcun altro senza pagare – continua Doyle – è fondamentalmente sleale. E noi vogliamo solo ciò che è giusto”.
Gli fa eco Mike McKool, avvocato dello studio McKool Smith e legale rappresentante di Eolas che sottolinea: “Quello che distingue questo caso da molte delle cause inerenti i brevetti è che così tante importanti società chiamate come imputati stanno violando un brevetto dichiarato valido dal Patent Office in tre diverse occasioni”.
Alfonso Maruccia