E così il cerchio si chiude, oltre tre decenni e mezzo dopo quel 1984 che un anno come un altro non lo è mai stato. Non lo era nella testa di Orwell quando lo immaginava come tempo lontano e ideale per descrivere uno scenario distopico e non lo è stato nemmeno una volta giunto, almeno per quanto concerne l’ambito tecnologico, scelto da Apple per portare sul mercato quel primo Macintosh a modo suo capace di influenzare e indirizzare l’evoluzione del concetto di personal computer.
Non un prodotto come un altro, tanto che per spingerlo la società scelse il Super Bowl e uno spot, entrato di diritto nella storia, diretto da un certo Ridley Scott. Uno che, tanto per capirci, aveva da poco portato sul grande schermo Blade Runner.
Epic vs Apple: Fortnite è la punta dell’iceberg
Oggi quello spot assume le sembianze di un metaforico boomerang che scagliato lontano 36 anni fa torna dritto a colpire Cupertino. Lo fa con una versione inedita confezionata da Epic Games, software house tra le più vivaci e proficue del mercato gaming nonché responsabile della tecnologia Unreal. Poco importa se per ragioni legate solo apparentemente a un titolo videoludico, Fortnite: la clip, intitolata “Nineteen Eighty-Fortnite”, pone l’accento su una questione tra le altre cose già finita sotto la lente d’ingrandimento della Commissione Europea, di natura antitrust ancor prima che legata al mondo dei videogiochi.
La società di Tim Cook ha deciso di eliminare Fortnite da App Store dopo che il suo sviluppatore ha introdotto con un aggiornamento la possibilità di effettuare acquisti in-app saltando qualsiasi intermediazione. Tradotto: niente commissioni per la mela morsicata. Una pratica non consentita dai termini di servizio della piattaforma con conseguente eliminazione.
Così Epic parla di monopolio, lanciando l’hashtag #FreeFortnite e un remake che riprende quello spot con il quale 36 anni fa Apple smantellava idealmente concetti definiti nella pubblicità come “Garden of pure ideology” e “Unification of thoughts”.
Epic Games ha sfidato il monopolio di App Store. In risposta, Apple sta bloccando Fortnite per miliardi di dispositivi. Unisciti alla battaglia per impedire che il 2020 diventi il “1984”.
Com’era lecito immaginare non è trascorso molto prima che qualcuno mettesse i due filmati fianco a fianco, a testimoniare l’accuratezza del lavoro svolto dai grafici della software house.
Alcune curiosità sul video di Fortnite. È girato in 4:3 proprio come l’originale. In sovrimpressione i riferimenti a “Platform Unification Directive”, “App Monitor” e alla data del 13 agosto 2020 che coincide con la cancellazione dell’app. Il Grande Fratello orwelliano è sostituito da una mela morsicata antropomorfa con tanto di vermiciattolo (bug?) che spunta a lato. Questo il suo discorso, tradotto.
Oggi celebriamo l’anniversario delle Direttive per l’Unificazione della Piattaforma. Per anni ci hanno dato le loro canzoni, i loro lavoro, i loro sogni. In cambio, abbiamo ottenuto i nostri tributi, i nostri profitti e il nostro controllo. Questa potenza è nostra e solo nostra. Prevarremo.
Non solo apple, anche Google
La questione non riguarda ad ogni modo esclusivamente Apple. L’aggiornamento di Fortnite ha portato anche Google alla decisione di eliminare il gioco da Play Store, con motivazioni del tutto simili. L’unica differenza per l’utente finale è rappresentata dal fatto che su Android il sideload delle applicazioni risulta più semplice rispetto a quanto avviene su iOS, passando dal semplice download e dalla successiva installazione del file APK che Epic Games mette a disposizione tramite il proprio sito ufficiale.
C’è in gioco ben più di un gioco
I due colossi californiani di fatto non hanno violato alcuna norma, anche perché sono stati loro stessi a definirle. Se sei uno sviluppatore e vuoi beneficiare della vetrina costituita dagli store ufficiali di iOS e Android sei tenuto ad accettare le modalità imposte. Punto. Epic Games non ci sta e all’arma dell’ironia affianca quella ben più tagliente delle vie legali, strada percorsa in realtà in passato col medesimo obiettivo tra gli altri da Spotify.
Questione complessa, ben più di quanto riguarda la disponibilità al download o meno di una singola applicazione (così come il caso TikTok ha implicazioni che vanno ben oltre il raggio d’azione di un social network per giovani e giovanissimi). Le considerazioni devono per forza di cosa essere estese alle dinamiche che oggigiorno definiscono il mercato mobile, sostanzialmente caratterizzato da un duopolio: chi controlla il sistema operativo controlla anche il canale di distribuzione di software e contenuti. Saranno eventualmente le autorità a stabilire se in modo legittimo o meno. O gli utenti, senza i quali Apple non sarebbe Apple e Google non sarebbe Google. Chissà però quando, chissà se nel 1984 2020.