Su una cosa le associazioni dei consumatori, quelle dell’industria ICT ed i più grandi produttori di apparecchi e supporti di registrazione operanti in Italia sono d’accordo: il c.d. Decreto Bondi con il quale, il 30 dicembre scorso, con la scusa di rideterminare la misura dell’equo compenso per copia privata, si è scatenato un autentico terremoto nella disciplina della materia, è illegittimo e va annullato.
Samsung, Telecom Italia, Fastweb, Sony Ericsson, Nokia Italia S.p.A., Apple Sales, HP ed una decina di associazioni di utenti e consumatori hanno, infatti, domandato al TAR Lazio di accertare l’illegittimità del Decreto Bondi e dichiararne la nullità.
Le strade di consumatori ed industria ICT, tuttavia, si dividono in relazione alle conseguenze che l’attuale situazione di incertezza circa la legittimità del Decreto Bondi rischia di produrre sul mercato finale dei supporti e degli apparecchi di registrazione.
L’industria ICT – ovviamente non senza talune eccezioni – ritiene, infatti, di dover riaddebitare ai consumatori finali il “balzello” che le è imposto di versare a fronte della commercializzazione di supporti ed apparecchi astrattamente idonei alla registrazione di contenuti audiovisivi e di potervi procedere semplicemente aumentando i prezzi, o almeno i prezzi suggeriti ai singoli distributori delle proprie reti di vendita.
I consumatori, al contrario, si dicono convinti che la tassa sull’equo compenso non debba esser fatta pagare agli acquirenti finali di supporti e dispositivi e che, in ogni caso, anche laddove i produttori ritengano di seguire questa strada, debbano necessariamente comunicare in modo trasparente ai clienti quale percentuale del prezzo loro praticato costituisca il riaddebito di uno dei balzelli – assieme al canone RAI – probabilmente, al momento, meno amato d’Italia.
Tale trasparenza, secondo le associazioni dei consumatori, servirebbe tra l’altro a consentire loro – qualora come appare auspicabile e probabile il TAR accerterà l’illegittimità, in tutto o in parte, del Decreto Bondi – di chiedere ai produttori di restituire agli acquirenti di supporti ed apparecchi quanto versato in più a titolo, appunto, di “riaddebito tassa equo compenso”. Pagare un ennesimo balzello va bene, ma pagare un balzello introdotto in forza di un provvedimento poi dichiarato illegittimo è davvero troppo persino per un cittadino italiano!
Muovendo da questo presupposto, Altroconsumo, Assoutenti, Cittadinanza Attiva, Unione Nazionale consumatori, Lega Consumatori, Casa del Consumatore, Movimento Difesa del Cittadino, Adiconsum ed il Centro tutela consumatori ed utenti, nei giorni scorsi, hanno quindi diffidato le principali società ICT ex art. 140 del Codice di Consumo, dall’astenersi dal riaddebitare ai consumatori finali il balzello che si accingono a versare a SIAE e, in ogni caso, a dare evidenza della percentuale di prezzo derivante da tale riaddebito.
Se i destinatari della diffida non dovessero adeguarsi, le associazioni dei consumatori chiederanno con ogni probabilità al Giudice di accertare l’illegittimità della prassi commerciale da questi ultimi seguita e di inibirne la prosecuzione. Sarebbe un peccato se il rapporto tra utenti ed industria ICT si compromettesse sino a questo punto ma si tratta, d’altro canto, di uno scenario sfortunatamente concreto ed assai probabile, figlio di un provvedimento che prima che illegittimo appare illogico e privo di buon senso come il Decreto Bondi sull’equo compenso.
Forse il peggio si può ancora evitare ed un compromesso tra le parti è ancora possibile.
Due le soluzioni all’orizzonte: il Ministro Bondi potrebbe disporre la già richiesta moratoria sull’efficacia del nuovo provvedimento sino all’ormai prossima decisione dei giudici amministrativi. Se il provvedimento fosse dichiarato illegittimo si sarebbe evitato, nei prossimi mesi, di imporre all’industria ICT di pagare ingenti somme – più o meno 9 milioni di euro al mese – non dovute ed ai consumatori di farsene carico ma, soprattutto, si sarebbe scongiurato il rischio di creare tensioni ed attriti tra utenti, consumatori ed un comparto industriale importante e strategico.
Si tratterebbe della soluzione migliore e di maggior buon senso.
La seconda soluzione potrebbe, invece, essere individuata da un patto sociale siglato – e poco conta come formalizzato – tra industria ICT e consumatori: ciascuna società scelga pure liberamente se riaddebitare o non riaddebitare l’equo compenso ai clienti finali ma chi sceglie di farlo pubblica su un sito Internet comune la percentuale da imputare a tale riaddebito e si impegna, qualora il Decreto Bondi fosse dichiarato illegittimo, a restituirla ai consumatori che – anche in forma associata – ne facessero richiesta, procedendo, naturalmente, in modo contestuale a richiedere a SIAE la restituzione di quanto illegittimamente versato.
La tecnologia serve – o dovrebbe servire – anche a questo: a consentire di realizzare e rinsaldare il rapporto tra chi vende e chi compra al di là delle regole del diritto e sulla base di dinamiche basate sulla reciproca fiducia, proprie dei piccoli mercati di un tempo.
Se, al contrario, il Decreto Bondi fosse dichiarato legittimo, non resterebbe, probabilmente, che guardare con invidia – ancor maggiore rispetto a quella dovuta allo straordinario verde di quelle vallate ed alla bontà della famosa cioccolata – alla vicina Svizzera, dove la locale cugina della nostra SIAE, si pone, per prima, il problema di capire se sia opportuno e/o necessario pretendere una tassa sull’equo compenso in relazione all’iPad e non essendo in grado di rispondere sino a quando non sarà possibile verificare come, effettivamente, i cittadini elvetici lo utilizzeranno, decide di soprassedere.
Guido Scorza
Presidente Istituto per le politiche dell’innovazione
www.guidoscorza.it