Una doccia gelata per la Società Italiana degli Autori ed Editori (SIAE), dopo la richiesta di un “semplice riallineamento” alle medie europee delle tariffe legate alla cosiddetta copia privata. Il ministro dei Beni e delle attività culturali Massimo Bray non prenderà decisioni avventate, in attesa di capire se le abitudini di consumo multimediale degli utenti italiani risultino davvero cresciute così tanto da giustificare i rincari richiesti dall’industria dei contenuti per il versamento dell’equo compenso.
Intervenuto nel corso di un’audizione con i principali stakeholder – dagli autori ai distributori di elettronica di consumo – il ministro Bray ha annunciato l’avvio di una ricerca interna che potrebbe non piacere ai vertici della collecting society tricolore. Obiettivo dell’indagine di mercato, la misurazione “scientifica” dei consumi legati alle varie tipologie di opere dell’ingegno . In pratica, Bray vuole capire quanti e quali dispositivi (e supporti) elettronici vengono effettivamente utilizzati dagli italiani per realizzare una copia privata.
In linea con le attuali disposizioni comunitarie, l’indagine conoscitiva annunciata dal Ministro potrebbe risultare decisiva per la correzione delle tariffe legate al cosiddetto equo compenso. Infiammatosi negli ultimi mesi, il dibattito sul compenso imposto ai consumatori aveva portato i legali di SIAE a sottolineare le quote decisamente più cospicue versate in paesi come Francia e Germania. Dispositivi come iPhone 5S verrebbero comunque pagati di più sul mercato del Belpaese, nonostante l’Italia preveda una compensazione di 90 centesimi, mentre in Francia e in Germania sia prevista rispettivamente una compensazione di 8 e 36 euro .
Stando alle cifre riportate dall’avvocato Guido Scorza, la SIAE era partita alla caccia di “un astronomico aumento delle attuali tariffe dell’equo compenso da copia privata, che avrebbe portato oltre 10 milioni di euro nelle tasche della Società di Viale della Letteratura e dragato risorse per circa 200 milioni di euro dalle tasche dei consumatori”. L’indagine annunciata dal ministro Bray è ora volta a comprendere se il consumo di opere mediato da CD, smartphone, tablet, hard disk sia davvero cresciuto a dismisura negli ultimi tre anni, tale da giustificare l’aumento del 500 per cento richiesto da SIAE per adeguare le tariffe italiane alle medie europee .
Era prevedibile che i consumatori, come riportato dal responsabile di Altroconsumo Marco Pierani, apprezzassero questa “ottima notizia”.
Il presidente della Federazione Industria Musicale Italiana Enzo Mazza, ritiene invece che “le percentuali o i valori che sono stati discussi a livello italiano sono più che accettabili rispetto a quelle che sono le dinamiche di mercato odierne”: smartphone e tablet, molto utilizzati per l’ascolto di musica anche in virtù della decadenza dei sistemi DRM apposti alla musica digitale, sarebbero opportunamente soggetti al compenso per copia privata, e il prezzo di vendita di questi dispositivi sarebbe in partenza più elevato in Italia rispetto ad altri mercati su cui il compenso per copia privata grava in maniera più consistente. Non sarebbe dunque l’aumento di una manciata di euro per il compenso da copia privata a dissuadere il consumatore dall’acquisto di uno smartphone o di un tablet: “Ciò non toglie che occorre tarare l’equo compenso sugli usi esclusi dalla copia privata – continua Mazza – esentare usi come quello professionale e tenere in considerazione il fatto che il download e lo streaming stanno relegando questo istituto in una condizione di residualità e che nel futuro di sicuro lo porteranno a scomparire. Ma al momento l’equo compenso resta necessario e per quanto strumento non perfetto ha permesso lo sviluppo e la circolazione dei prodotti”.
Nell’indagine promossa da Massimo Bray si considereranno i soli usi di una copia di un contenuto legalmente acquistato: se le opere pirata non hanno nulla a che vedere con la disciplina dell’equo compenso, nemmeno l’uso di uno smartphone per ascoltare musica in streaming (o scaricata da piattaforme come iTunes) implica il coinvolgimento di copie private.
Proprio la crescita esponenziale delle piattaforme di streaming musicale (ad esempio, Spotify) ha innescato il dibattito sui nuovi consumi multimediali degli utenti italiani (ed europei). Pagare l’equo compenso sui dispositivi mobile porterebbe il consumatore a pagare due volte , dal momento che magari avrebbe già versato il dovuto per offerte all-you-can-listen proposte dalle varie piattaforme legali. “Il fatto è che i consumatori si stanno spostando verso il consumo in streaming, dove non si creano copie e il pagamento dei diritti viene fatto già a a monte da chi trasmette la musica – ha infatti sottolineato Cristiano Radaelli, presidente di Anitec e vice-presidente di Confindustria Digitale – non si può chiedere ai consumatori di pagare una seconda volta. Discorso che vale anche per i contenuti acquistati, ad esempio, da iTunes”.
Mauro Vecchio