Il diritto alla copia privata, a differenza di altri paesi europei , in Italia non si discute: al centro del dibattito, però ci sono da tempo immemore i prelievi che dovrebbero riconoscere ai detentori dei diritti un equo compenso per questa eccezione al diritto di riproduzione concessa ai cittadini. L’equo compenso, in Italia, si applica ad una vasta gamma di prodotti ad uso personale e professionale, delineata dal cosiddetto Decreto Bondi del 30 dicembre 2009 e confermata dai più recenti adeguamenti in materia. Le istituzioni italiane hanno chiesto consulto all’Europa per dirimere il caso e l’avvocato generale della Corte di Giustizia europea Nils Wahl ha fornito il proprio parere orientativo : nel caso di dispositivi “manifestamente estranei alla realizzazione di copie private” l’obbligo di versare gli indennizzi per la copia privata così per come è delineato in Italia sarebbe incompatibile con la normativa europea.
Il caso all’attenzione della Corte di Giustizia è quello sollevato da un manipolo di aziende (Nokia, Hewlett-Packard, Telecom Italia, Samsung, Dell, Fastweb, Sony Mobile e Wind) contro SIAE, IMAIE, Anica, i produttori televisivi di APT e il Ministero per i beni e le attività culturali: probabilmente incoraggiati da una sentenza del 2011 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e dall’ orientamento espresso da un paese storicamente ancorato all’istituto della copia privata come la Francia, si erano rivolti al TAR del Lazio per impugnare il decreto Bondi, ritenendolo incompatibile con il quadro normativo dell’Unione Europea in quanto prescriveva l’applicazione del prelievo anche a “persone fisiche o giuridiche che, manifestamente, non esercitano attività di riproduzione privata”. In un contesto, per di più, in cui a SIAE è garantita ampia discrezionalità nella gestione del prelievo. Il TAR aveva respinto i ricorsi, riconducendo il prelievo alla definizione di tassa , svincolando così l’equo compenso dalla effettiva attività di copia privata.
È il successivo ricorso al Consiglio di Stato delle aziende a determinare l’intervento della Corte di Giustizia: l’Italia chiedeva se la direttiva 2001/29 fosse compatibile con la disciplina nazionale che attribuisce alla SIAE poteri nel delineare in anticipo eccezioni nel prelievo per dispositivi ad uso esclusivamente professionale e poteri nelle gestione dei rimborsi, concessi alle persone giuridiche acquirenti di dispositivi e supporti, e non ad altri soggetti.
L’avvocato generale riconosce che “il sistema del prelievo è stato istituito in quanto, nel mondo offline , i prelievi erano l’unico modo per garantire che i titolari dei diritti fossero compensati per le copie effettuate dagli utenti finali” e che questo meccanismo “non corrisponde pienamente all’ambiente digitalizzato online in cui viene oggi utilizzato il materiale tutelato dal diritto d’autore”, senza entrare nei dettagli della questione streaming e cloud , altrettanto discusse, ma che esulano dal contesto rispetto al quale è stato chiamato a deliberare. L’avvocato Wahl osserva però che la base presuntiva sulla quale si fonda l’istituto dell’equo compenso si applica a uno scenario diverso rispetto a quello del 2001 e della relativa direttiva che prendeva in considerazione come “apparecchi e ai supporti idonei alla riproduzione per uso privato” CD, PC, telefoni cellulari, schede di memoria, chiavette USB e via dicendo: all’epoca, spiega, “era ancora comune utilizzare tali apparecchi e supporti per riproduzioni ad uso privato. Oggi – sottolinea l’avvocato generale – (…) sembra che la copia privata sia stata almeno parzialmente (se non ampiamente) sostituita da vari tipi di servizi Internet che consentono ai titolari dei diritti di controllare l’uso di materiale tutelato dal diritto d’autore mediante contratti di licenza”.
Per quanto attiene strettamente le questioni pregiudiziali, l’avvocato generale parte dalla questione delle esenzioni . “Non esistono norme legislative che stabiliscano un’esenzione da tale prelievo quando tale attrezzatura viene acquistata per uso professionale” osserva, e riferisce che “l’esenzione dall’obbligo di pagare tale prelievo può essere negoziata tra la SIAE e i produttori e gli importatori degli apparecchi e dei supporti soggetti al prelievo”, ambito in cui SIAE “gode di un’ampia discrezionalità”. Ma la sentenza Padawan e la più recente sentenza Copydan Bandkopi della Corte di Giustizia dell’Unione Europea prescrivono che l’applicazione dell’equo compenso non dovrebbe essere indiscriminata , ma dovrebbe prevedere delle eccezioni per dispositivi manifestamente estranei alla realizzazione di copie private, acquistati ad esempio da professionisti e enti pubblici. La legge italiana attribuisce alla SIAE la decisione di concedere o meno delle esenzioni, esenzioni che, spiega l’avvocato generale, “sono poche e di portata limitata” e non contemplano la situazione di produttori e importatori che “possono dimostrare di aver fornito apparecchi e supporti per un uso manifestamente estraneo alla realizzazione di copie private”: in questo modo, riconosce l’avvocato generale, la compensazione eccessiva è difficile da evitare e l’ equo compenso finisce per risultare sbilanciato a favore dei detentori dei diritti .
Per quanto riguarda invece i rimborsi , l’avvocato Wahl ricorda che la loro gestione è allo stesso modo affidata alla SIAE e che la richiesta di rimborso di un prelievo indebitamente versato per dispositivi ad uso professionale può essere presentata soltanto da un utente finale .
L’avvocato generale riconosce che gli stati membri godono di una certa discrezionalità nello stabilire il contesto di applicazione dei prelievi ed è loro concesso di assumere che in generale “gli apparecchi e i supporti sono destinati a un uso privato” e quindi applicarli indiscriminatamente ai dispositivi, ma solo “in presenza di condizioni rigorose” quali difficoltà oggettive nello stabilire la destinazione d’uso del prodotto e solo in relazione alla vendita presso persone fisiche che possono impiegare i prodotti per diverse funzioni. Quando gli acquirenti sono professionisti, enti e istituzioni, osserva Wahl, e quando la commercializzazione del prodotto non passa da rivenditori e intermediari, non ci sarebbero scuse: la destinazione d’uso non è quella della copia privata, è immediatamente riconoscibile come tale e per questo l’equo compenso non si dovrebbe applicare, con una eccezione ex ante, a coloro che vendono prodotti in questi contesti. Ma l’Italia non prevede eccezioni ex ante per produttori e rivenditori che vendano a professionisti, e allo stesso tempo sembra riconoscere la possibilità di chiedere rimborsi ai soli utenti finali: è così che produttori e rivenditori verrebbero privati della possibilità di vedersi risarcire denari versati senza necessità di farlo, denari che potrebbero non essere stati riversati sul consumatore sotto forma di un aumento dei prezzi, come invece spesso succede. Inoltre, rileva l’avvocato generale, il regime dei rimborsi in Italia regolamentato dalle disposizioni SIAE parrebbe escludere le persone fisiche dal diritto di chiedere il rimborso: “non vedo motivo – osserva Wahl – per cui le persone fisiche (come i lavoratori autonomi) non debbano poter chiedere il rimborso qualora siano in grado di dimostrare di aver acquistato le apparecchiature cui si applica il prelievo per copia privata a fini professionali”.
In generale nel parere preliminare si rileva l’inopportunità dell’affidare a SIAE la gestione dei rimborsi: la collecting society italiana si riserva la possibilità di applicare delle proprie regole per i richiedenti rimborso, sottoposti al rispetto di un codice di condotta e a relativi controlli riguardo all’impiego dei prodotti per cui fanno richiesta di risarcimento. Regole che la SIAE può modificare in virtù della discrezionalità che le è concessa, regole che, semplifica l’avvocato generale, “dissuaderanno le persone interessate dal chiedere il rimborso”. “Qualora sia stato applicato un prelievo per attrezzature, apparecchi o supporti acquistati per uso professionale tramite un rivenditore – avverte lapidario l’avvocato generale – deve essere realmente possibile, per l’utente finale, ottenere il rimborso”.
In Italia manca una chiara definizione delle eccezioni (ex ante) al versamento dell’equo compenso, il che rende necessario mettere in atto un sistema efficiente per i rimborsi (ex post), altrettanto lacunoso. È così che nel contesto italiano “è difficile evitare una compensazione eccessiva”, come sembrano dimostrare i bilanci della SIAE. A fronte di un parere che non è scontato orienterà la decisione della Corte di Lussemburgo, la SIAE è già intervenuta per difendere le proprie ragioni: nonostante la presa di posizione dell’avvocato generale sia netta rispetto al funzionamento delle riscossioni dell’equo compenso in Italia, la collecting society afferma che le conclusioni di Wahl “non mettono assolutamente in dubbio la legittimità complessiva del sistema di copia privata in vigore in Italia”. SIAE ricorda che, a differenza da quanto sottolineato da Wahl, “produttori e importatori possano astenersi dal pagare l’equo compenso semplicemente dimostrando che gli apparecchi sono ceduti direttamente ad utilizzatori finali per usi manifestamente diversi dalla riproduzione per uso personale” e che non è mai stato negato un rimborso a “persone fisiche munite di partita IVA e che abbiano dimostrato di aver acquistato un apparecchio per usi professionali, manifestamente estranei alla copia privata”. Non ci sarebbe dunque nulla da temere per il sistema incardinato sulle regole della collecting society: peraltro, dichiara SIAE, “L’impatto sostanziale, nel sistema italiano della copia privata, sarebbe comunque molto limitato”.
Gaia Bottà