La Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è espressa nella causa C‑110/15 relativa alla disciplina dell’equo compenso in Italia e ha stabilito – come anticipato dal parere dell’avvocato Generale Nils Wahl – l’illiceità della parte relativa alla sua riscossione per apparecchi utilizzati per uso professionale.
Il caso è quello relativo alla valutazione del cosiddetto Decreto Bondi del 30 dicembre 2009 rispetto all’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione ed in particolare prende in esame la questione che vede contrapposti, da un lato, alcune società che producono e commercializzano, in particolare, personal computer e altri sistemi dotati di memoria o atti a registrare contenuti digitali (come Nokia, Hewlett-Packard, Telecom Italia, Samsung, Dell, Fastweb, Sony Mobile e Wind) e, dall’altro, il Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo, la Società italiana degli autori ed editori (SIAE), l’Istituto per la tutela dei diritti degli artisti interpreti esecutori, in liquidazione, l’Associazione nazionale industrie cinematografiche audiovisive e multimediali e l’Associazione produttori televisivi, in merito all’equo compenso che dev’essere versato, tramite la SIAE, agli autori delle opere dell’ingegno per la riproduzione privata, per uso personale, di tali opere e che viene applicato anche al prezzo di acquisto dei prodotti utilizzati non da privati ma da aziende o da professionisti che intendono utilizzarli per fini professionali (per esempio i computer installati in un ufficio).
Il caso, dopo il ricorso respinto dal TAR che aveva equiparato l’equo compenso ad una tassa slegandolo dunque dall’attività di copia privata, ha spinto le aziende a rivolgersi al Consiglio di Stato che, per dirimere la questione, si è rivolto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea chiedendo se la direttiva 2001/29 fosse compatibile con la disciplina nazionale che attribuisce alla SIAE poteri nel delineare in anticipo eccezioni nel prelievo per dispositivi ad uso esclusivamente professionale e poteri nelle gestione dei rimborsi , concessi alle persone giuridiche acquirenti di dispositivi e supporti, e non ad altri soggetti.
Una volta stabilita la ricevibilità della domanda pregiudiziale ed aver ribadito la liceità dell’istituto dell’equo compenso per copia privata, la Corte è entrata nel merito, stabilendo che “un sistema diretto ad applicare un prelievo del genere risulta conforme all’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29 solo se la sua attuazione è giustificata da difficoltà pratiche e se i debitori dispongono di un diritto al rimborso di tale prelievo, qualora quest’ultimo non sia dovuto”. Ciò, pertanto, comporta che detto prelievo non deve applicarsi alla fornitura di apparecchiature, dispositivi e supporti di riproduzione effettuata a favore di soggetti diversi dalle persone fisiche, per scopi manifestamente estranei a quelli della realizzazione di copie per uso privato” (come peraltro stabilito dalla sentenza del 5 marzo 2015, Copydan Bandkopi, C‑463/12, EU:C:2015:144, punto 47 e dalla giurisprudenza ivi citata).
Per quanto, infatti, “gli Stati membri hanno la facoltà di prevedere eccezioni o limitazioni al diritto esclusivo di riproduzione per quanto riguarda le riproduzioni su qualsiasi supporto effettuate da una persona fisica per uso privato e per fini né direttamente né indirettamente commerciali, a condizione che i titolari di tale diritto esclusivo ricevano un equo compenso che tenga conto delle misure tecnologiche di cui all’articolo 6 della predetta direttiva”, e per quanto gli Stati membri dispongano di un ampio potere discrezionale per determinare chi sia tenuto (e come) a corrispondere tale compenso, per essere conforme “all’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29, l’equo compenso e dunque il sistema su cui questo si basa devono essere correlati al pregiudizio causato ai titolari dei diritti per effetto della realizzazione di copie private”.
Pertanto, un sistema di finanziamento dell’equo compenso risulta compatibile con le esigenze del giusto equilibrio tra i diritti e gli interessi degli autori, beneficiari dell’equo compenso, da un lato, e quelli degli utenti dei materiali, dall’altro, “soltanto nel caso in cui gli apparecchi e i supporti di riproduzione di cui trattasi possano essere utilizzati ai fini della realizzazione di copie private e possano pertanto causare un pregiudizio all’autore dell’opera protetta” e – continua la Corte – “sussiste quindi una correlazione necessaria tra l’applicazione del prelievo per copia privata a detti apparecchi e supporti di riproduzione digitale e l’uso dei medesimi a scopi di riproduzione privata”.
Insomma, tali disposizioni non possono essere applicate se non è un privato ad acquistare il dispositivo e ad essere dunque responsabile della copia privata.
La Corte è inoltre critica nei confronti dei sistemi di rimborso previsti in caso di acquisto di prodotti soggetti al balzello da parte di soggetti a cui non spetta, sistema al momento a discrezione quasi assoluta di SIAE: “Tale sistema deve prevedere un diritto al rimborso del prelievo per copia privata che sia effettivo e che non renda eccessivamente difficile la restituzione del prelievo corrisposto. A tale proposito, la portata, l’efficacia, la disponibilità, la pubblicità e la semplicità di esercizio del diritto al rimborso devono consentire di controbilanciare gli eventuali squilibri creati dal sistema del prelievo per copia privata al fine di rispondere alle difficoltà pratiche constatate”.
Soprattutto perché “è pacifico che la normativa in esame nel procedimento principale non prevede disposizioni di applicazione generale che esonerino dal pagamento del prelievo per copia privata i produttori e gli importatori che dimostrino che gli apparecchi e i supporti sono stati acquistati da soggetti diversi dalle persone fisiche, per scopi manifestamente estranei a quelli della realizzazione di copie per uso privato.”
La decisione è stata accolta con favore da Confindustria Digitale , che ha parlato di una sentenza che conferma l’illegittimità del sistema italiano sugli usi professionali: “In particolare, la sentenza stabilisce sostanzialmente che i prodotti professionali devono essere esentati dal pagamento della copia privata con un meccanismo ex ante e che tale esenzione deve essere assicurata dal legislatore e non può essere lasciata a una negoziazione arbitraria condotta da una parte in causa qual è la SIAE”.
Non è dello stesso avviso SIAE , che con una nota ridimensiona la portata della sentenza della Corte affermando che essa “non mette in alcun modo in discussione la legittimità della copia privata né in discussione l’intero decreto Bondi o la correttezza dell’operato di SIAE” dal momento che ribadisce la liceità del Decreto Bondi, considerando incompatibile con la Direttiva Europea solo l’articolo 4 , ovvero la mancanza di disposizioni che indichino criteri predeterminati di esenzioni ex ante e metodi conseguenti per ottenere eventuali rimborsi.
Claudio Tamburrino