Con la sentenza 2159/2012 il Tribunale amministrativo del Lazio ha respinto tutti e otto i ricorsi presentati contro il decreto Bondi , con il quale l’allora Ministro dei Beni Culturali aveva esteso i compensi di copia privata che hanno comportato negli ultimi anni l’aumento generalizzato dei prezzi di tutti quei dispositivi atti alla registrazione di file multimediali (chiavette USB, ma anche dvd, smartphone, console ecc.) per compensare i diritti di autori e artisti.
A presentare i ricorsi erano stati Apple, Samsung e altri produttori e distributori di dispositivi multimediali , su cui (insieme ai consumatori) l’aggravio di prezzo finisce per pesare: un aumento consistente dal momento che è commisurato alla memoria del dispositivo preso in considerazione.
Il TAR ha respinto tutti i ricorsi e stabilito legittimo il decreto Bondi: ad accogliere con “vivissima soddisfazione” tali sentenze è naturalmente SIAE, che ha parlato di “un grande riconoscimento di un giusto diritto”. Anche perché il giudice – sottolinea la collecting society – parla di una misura conforme al ” giusto equilibrio da realizzare tra gli interessi degli autori e quelli degli utenti degli oggetti protetti”.
Stessa soddisfazione è stata espressa dal presidente FIMI Enzo Mazza, che ha parlato di una decisione che conferma “l’impianto normativo italiano, ma soprattutto che la norma è assolutamente bilanciata nel rispetto degli interessi degli aventi diritto, consumatori e produttori di tecnologia”.
Decisamente delusi dalla sentenza sono, invece, coloro che sostenevano i ricorsi: in particolare si confidava che, dopo la sentenza con cui la Corte europea di Giustizia aveva chiarito come l’equo compenso per copia privata dovesse necessariamente essere ancorato all’effettivo utilizzo (anche se solo su base presuntiva) del supporto per tale scopo e la decisione simile assunta da Consiglio di Stato e Governo francese, anche in Italia si potesse volgere verso questa direzione.
Il TAR ha invece ritenuto la normativa italiana conforme alla normativa nazionale ed europea. Secondo SIAE, la sentenza confermerebbe che “il sistema italiano che disciplina i diritti di Copia Privata è tra i migliori, se non il migliore, d’Europa perché pienamente rispettoso delle Direttive europee, dei pronunciamenti della Corte di Giustizia e del nostro Ordinamento giuridico nazionale”.
Il TAR non ha tuttavia lasciato la questione del tutto immutata: nella sentenza ha definito l’equo compenso non il corrispettivo dell’utilizzo dell’altrui opere dell’impegno, ma una tassa , togliendo il velo d’ambiguità che copriva la misura decisa dal Decreto Bondi.
I Giudici scrivono infatti che “non può che giungersi alla conclusione che il pagamento dell’equo compenso per copia privata, pur avendo una chiara funzione sinallagmatica e indennitaria dell’utilizzo (quanto meno potenziale) di opere tutelate dal diritto di autore, deve farsi rientrare nel novero delle prestazioni imposte, giacché la determinazione sia dell’an che del quantum è effettuata in via autoritativa e non vi è alcuna possibilità per i soggetti obbligati di sottrarsi al pagamento di tale prestazione fruendo di altre alternative”.
Quello che è stato definito dal legislatore un “equo compenso”, come noto, non è una sorta di compensazione per il download illegale o altro tipo di impiego dell’opera in abuso del diritto d’autore, ma è previsto per la cosiddetta copia privata, cioè uno dei diritti in capo all’utente che legittimamente possiede un esemplare dell’opera di duplicarla per la propria esclusiva fruizione personale e senza alcun fine commerciale. Tuttavia non è pagata solo da coloro che effettivamente ne usufruiscono, ma da tutti coloro che acquistano un dispositivo potenzialmente utilizzabile per questo scopo.
Il TAR indica inoltre come la logica dell’equo compenso sia legata a doppio filo alla crisi del settore che “ha indotto il Legislatore sia comunitario che nazionale ad adottare le misure necessarie per poter garantire la remunerazione dei titolari delle opere dell’ingegno”. In pratica, per quanto possa risultare iniquo, il decreto Bondi è rispettoso della vigente normativa nazionale e comunitaria e dettato dalle esigenze di mercato di un settore in crisi , incapace di adattare i propri meccanismi alle nuove tecnologie.
In quanto “tassa” pagata da tutta la collettività e non solo da coloro che effettuano copie private, tuttavia, secondo alcuni osservatorii è ora logico chiedersi se lo strumento non debba essere rivisto in una logica più trasparente: si tratta d’altronde di una somma considerevole (si parte dal 5 per cento del prezzo finale di un dispositivo), che grava anche su chi non effettua copie private e su chi, come professionisti ed imprenditori, utilizzano tali dispositivi per scopi che esulano la copia privata.
Claudio Tamburrino