Lo chiamano canon digital ed è la versione spagnola dell’ equo compenso , un provvedimento di estensione di nuove tasse sui dispositivi elettronici che sta scatenendo una sollevazione popolare in rete. Se in Italia la questione è ormai saldamente nelle mani della SIAE e delle più volte riformate leggi sul diritto d’autore, in Spagna la faccenda è in divenire e una parte consistente della società e della rete spagnola ha intenzione di fermarla ad ogni costo.
Todos contra el CANON è il nome di una durissima campagna alla quale stanno associandosi giorno dopo giorno orde di consumatori, musicisti, sindacati degli artisti, impresari ed altri operatori del settore. Tutti uniti per dire che quella tassa è un favore alle major , a degli intermediari a cui viene riconosciuto il diritto di interferire sullo sviluppo tecnologico, la diffusione degli strumenti hi-tech e la libertà di fruizione degli stessi da parte dei consumatori. “Si vogliono favorire intermediari a scapito di tutti gli altri”, tuonano gli attivisti dai blog. Non mancano ovviamente i video di denuncia e satirici, come Canon el barbaro .
Ma è una marea in piena, si invitano singoli, aziende e persino enti pubblici al boicottaggio mentre i network sociali sono in fiamme: su Facebook sono nate almeno tre comunità spagnole, mobilitate contro l’estensione e l’aggravamento dell’equo compenso, ed è proprio da Facebook che ha preso vita il sito di riferimento per la protesta, sul quale trovano posto, con il passare dei giorni, un numero sempre crescente di sponsor e notizie, dove vengono ospitate tutte le informazioni legali e le considerazioni sulle conseguenze dell’introduzione della tassa .
L’ equocoso , in Spagna come in Italia, è concepito come una formula di compensazione per l’ eventuale uso di supporti per la riproduzione o registrazione di opere protette da diritto d’autore: il nuovo equo compenso approvato dal Parlamento spagnolo a dicembre sarà attivo dal 29 giugno prossimo ed estende ai dispositivi elettronici l’odiato balzello. Una eventualità che fa infuriare la rete spagnola, capace in pochissime settimane di raccogliere qualcosa come due milioni di firme a sostegno di una lunga lettera aperta che chiede l’abolizione immediata e senza condizioni del regalino all’industria dei contenuti.
Due milioni di NO che alla fine di gennaio saranno riversati su Parlamento e organismi di settore, un fiume in piena che si allarga di continuo: mentre scriviamo le firme sono 1.983.775 ma crescono del ritmo di quasi una al secondo. E non sono solo partecipazioni di singoli individui, a migliaia arrivano adesioni da associazioni di categoria e gruppi legati in un modo o nell’altro alla produzione di contenuti.
Le ragioni della protesta ricordano molto le condizioni del mercato italiano che, però, suscitano nel Belpaese contestazioni in nessun modo paragonabili alla portata di quanto sta avvenendo in Spagna: di ogni CD venduto mediamente agli artisti arriva il 6 per cento, gli utili della “SIAE spagnola” (la SGAE ) sono cresciuti esponenzialmente negli ultimi anni, con la ricalibrazione europea del diritto d’autore quelle entrate nel 2009 aumenteranno di 500 milioni di euro, l’equo compenso già attivo su CD e DVD consente ogni anno a SGAE di introitare 12 milioni di euro. Tutti motivi che dovrebbero indurre il Parlamento a ripensarci. Ma non sono certo i soli.
Nella petizione i nodi vengono esposti in modo limpidissimo:
– Il balzello provocherà un aumento dei prezzi di prodotti e servizi e colpirà lo sviluppo della Società dell’Informazione nonché le capacità competitive (una tesi già sposata in Italia dai produttori di supporti, un settore che ormai vive a metà tra rampante illegalità e fallimento delle imprese trasparenti);
– i beneficiari della tassa sono le attività di intermediazione: va quindi contro l’interesse generale, “perché implica che qualsiasi gruppo o settore che sia colpito da una trasformazione tecnologica potrà in futuro richiedere una simile tassa sulle tecnologie che questo cambiamento hanno provocato, impedendo così lo sviluppo di nuovi modelli di business”.
– Internet rappresenta un nuovo modello distributivo: l’equo compenso sui dispositivi di registrazione favorisce un canale piuttosto che un altro, turbando il mercato e in un certo senso legittimando il download illegale dei contenuti;
– una tassa simile colpisce tutti, indipendentemente dall’uso che viene fatto dei dispositivi: se contengono contenuti distribuiti in copyleft , materiali privati o documenti aziendali la tassa viene pagata comunque (su questo l’Italia si distingue: come noto, la SIAE propone un complicato sistema di rimborso per l’equo compenso ma solo alle aziende );
– l’equo compenso costringe gli utenti a pagare più volte le tasse sugli stessi contenuti perché la pagano sia quando comprano il contenuto che quando lo vogliano conservare su un dispositivo o portarselo appresso. Una tesi da noi sostenuta anche da BSA , fin qui vanamente.
Le richieste dell’oceano di attivisti sono ovvie: abolizione del canone digitale o, in alternativa, riduzione, consegna di quanto prelevato nelle mani degli artisti e non degli intermediari, informazione trasparente ai consumatori su quanto di tassa c’è nei prezzi dei prodotti in vendita, abolizione di ogni limite tecnologico anticopia, in quanto incompatibile con una tassa sulla copia .
La protesta monta, gli attivisti si sono dati ancora una settimana per rimpolpare le firme e occupare le cronache sui media spagnoli, a quanto pare più pronti di quelli italiani a dare risalto ai problemi innescati dall’equo compenso. Il mese della verità sarà però febbraio, quando milioni di firme saranno effettivamente consegnate nella stanza dei bottoni. Milioni di domande alle quali qualcuno dovrà dare una risposta.