I venti di guerra che soffiano sull’Europa e la tempesta perfetta che si sta scagliando sui costi dell’energia hanno consegnato all’Europa una consapevolezza fondamentale e necessaria: scommettere sulle rinnovabili non è più soltanto un tema imprescindibile di sostenibilità, ma è anche una seria questione economica, politica e sociale. In quest’ottica viene ad assumere sempre maggior valore strategico un’idea che nasce negli anni passati e che nei prossimi mesi è destinata a farsi importantissima a livello italiano: si tratta delle Comunità Energetiche Rinnovabili (CER), ossia associazioni di consumatori e produttori di energia che si scambiano localmente quanto prodotto attraverso fotovoltaico, eolico o altre fonti.
Il tema è complesso e di grandissima importanza: le prime CER hanno visto la luce ed i fondi del PNRR in arrivo saranno benzina versata su una miccia già accesa. Abbiamo approfondito l’argomento grazie alla collaborazione di Alessandro Villa, Presidente e CEO di Elmec Solar.
CER – Comunità Energetiche Rinnovabili
- Cosa sono le CER?
- Chi le ha ideate?
- Quante CER sono già state realizzate?
- In cosa consiste il vantaggio?
- Come si crea una CER?
- Quali contributi o incentivi sono disponibili?
- Come funziona dal punto di vista tecnico?
- Servono nuovi impianti o vi si possono partecipare anche impianti già attivi?
- I sistemi di accumulo sono previsti e/o consigliabili anche nel contesto di una CER?
- Dal punto di vista delle aziende può essere una scelta conveniente?
Cosa sono le CER?
Negli ultimi 20 anni il sistema di produzione di energia elettrica in diverse nazioni e tra queste l’Italia è cambiato profondamente, diventando molto più efficiente sia per il migliorare della tecnologia sia per il fatto che ha visto nascere impianti di piccole dimensioni a supporto dei fabbisogni locali. Questi sono oltre un milione e tipicamente producono energia da fonti rinnovabili ovvero mini-idroelettrici (turbine nei corsi d’acqua), eolici, solari sia termico e sia fotovoltaico che complessivamente pesano per 40GW, in grado di portare, nel 2020, la produzione da rinnovabili a 113,9 TWh in totale (comprensivo di idroelettrico) su un consumo complessivo di 315TWh. Una crescita che ha permesso in questi anni di chiudere 13 GW di centrali a fonti fossili e soprattutto oggi, visto il crescere dei costi dell’energia che in questi giorni sta affollando i pensieri di tutti, di far pensare che, oltre al gas purtroppo ancora necessario nel breve per coprire i fabbisogni totali e soprattutto quelli dove le rinnovabili non reggono (tipicamente di notte per mancanza del sole), possono però rappresentare una soluzione decisamente interessante.
In particolare il fotovoltaico, facile da installare e con tempi di rientro di pochi anni (passato da 6,3 MW installati a oltre 22,5GW nel giro di questi 20 anni, dimostrando la bontà e affidabilità di questa tecnologia) è la chiave di volta: consente di raggiungere gli obiettivi fissati a livello internazionale per fermare i gas serra e, visto come intervento strutturale, permette di far fronte all’aumento dei prezzi di cui sopra rendendoci energeticamente più indipendenti dal gas – che come ormai tutti sappiamo acquistiamo per la maggior parte dalla Russia.
Ma siamo lenti e in ritardo. Per dare un’idea più chiara della situazione, il nostro Paese per rispettare gli impegni presi dovrebbe arrivare ad installare almeno 6 GW di potenza l’anno. Oggi siamo invece a 936 MW. Da qui l’opportunità delle CER (Comunità Energetica Rinnovabile), già ampiamente diffuse nel nord Europa (in Germania sono più di 800 che coinvolgono circa il 34% della popolazione in cooperative di varia natura): in Italia sono poche e diversificate quanto a struttura organizzativa, processo decisionale, tipologia dell’offerta di servizi e benefici ai propri soci. Dicevamo che le CER nascono dall’intuizione per cui condividere l’energia localmente è più efficiente che non immetterla direttamente in rete senza preoccuparsi di dove verrà consumata. Tutto ciò proprio per i costi di trasmissione e le perdite intrinseche nel portarla da un punto a un altro, con sbalzi di tensione e di frequenza sulla rete che – in particolare in alcune zone – implicano costi non indifferenti per aziende e privati. Un ulteriore importante obiettivo delle CER, infine, è quello di consentire a tanti di realizzare un impianto fotovoltaico direttamente sul proprio tetto – investimento giustificato dal ritorno economico garantito dalla stessa CER.
Chi ha messo in moto lo sviluppo delle CER?
L’Unione Europea è il motore che sta spingendo forte sull’acceleratore. La UE è sempre stata attiva e attenta sul fronte dell’energia, con particolare enfasi a quanto questa pesa a livello di impatto ambientale. Già nel 2008 l’UE, approvando il primo pacchetto Clima Energia e in particolare della direttiva RED (Direttiva 2009/28/CE), ha dato inizio alle prime politiche climatiche e di sostegno agli investimenti in tecnologie di generazione di energia da fonti rinnovabili, con l’obiettivo della riduzione delle emissioni del 20% rispetto ai livelli del 1990 e una crescita delle rinnovabili fino a rappresentare il 20% entro il 2020. Nel 2018 la UE approva il Clean Energy Package, un combinato di direttive che si propone di fissare gli obiettivi di sostenibilità ambientale tra cui quello che tutti conosciamo: ridurre le emissioni a livello comunitario del 40%. All’interno del pacchetto di misure, vengono anche individuate le possibili varie forme di autoconsumo, dove può esistere un unico soggetto produttore e tanti consumatori oppure tanti produttori e tanti consumatori. È la base delle Energy Community, per come previste nella Renewable Energy Directive 2 (direttiva 2018/2001, anche nota come direttiva RED 2).
Nel favorire lo sviluppo del mercato dell’energia da fonti rinnovabili, è necessario tener conto dell’impatto positivo sullo sviluppo a livello regionale e locale, sulle prospettive di esportazione, sulla coesione sociale e sulla creazione di posti di lavoro, in particolare per quanto riguarda le PMI e i produttori indipendenti di energia, tra cui gli autoconsumatori di energia rinnovabile e le comunità di energia rinnovabile
In particolare, all’interno della RED II, viene disciplinato il funzionamento delle Comunità Energetiche Rinnovabili (CER). Si definisce una CER come un’entità giuridica e tecnologica che:
- prevede una partecipazione aperta e volontaria, sia autonoma e sia effettivamente controllata da soci che sono localizzati in prossimità dell’impianto di produzione, che dovrà essere posseduto e sviluppato dalla CER stessa;
- prevede come soci persone fisiche, enti locali (inclusi i Comuni) e PMI;
- non abbia scopo di lucro, bensì obiettivi di miglioramento dell’ambiente fisico, sociale ed economico dei membri della CER e/o dell’area in cui la CER è localizzata.
Tutto i modelli comportano il fatto che l’energia prodotta da impianti distribuiti sul territorio (nel caso delle Comunità Energetiche, alimentati esclusivamente da fonti rinnovabili) possa essere condivisa, quindi da una serie di consumatori, ma anche contribuire al sostegno dei consumi e delle necessità complessive della rete elettrica. L’obiettivo, come detto in precedenza, è di dare spazio allo sviluppo di grandi e piccoli impianti diffusi sul territorio, fondamentali per raggiungere gli obiettivi climatici e di decarbonizzazione.
Come detto all’inizio, le comunità energetiche potranno contribuire, stando allo studio Elemens – Legambiente, con circa 17 GW di nuova potenza da rinnovabili al 2030, pari a circa il 30% dell’obiettivo climatico al 2030 del PNIEC (Piano Nazionale Integrato Energia e Clima).
Quante CER sono già state realizzate?
A oggi sono una decina. Le prime due sono state a Napoli e a Magliano Alpi (CN).
Altre decine sono già progettate e pronte a partire nella loro realizzazione appena il recepimento delle direttive di cui sopra sarà completato e verranno pubblicati i decreti attuativi che normano in via definitiva le modalità e soprattutto gli incentivi (si pensa a giugno/luglio di quest’anno). Alcune configurazioni di autoconsumo collettivo, di cui la prima realizzata nel Comune di Pinerolo, stanno prendendo piede.
Parlando di quelle esistenti, quella di Napoli è una comunità energetica rinnovabile e solidale: si tratta di un investimento di circa 100 mila euro, finanziato da Fondazione con il Sud, promosso da Legambiente e dalla comunità locale a partire dal ruolo fondamentale della Fondazione Famiglia di Maria e delle 40 famiglie con disagi sociali coinvolte nella comunità energetica e che saranno i beneficiarie.
In cosa consiste il vantaggio?
La CER ha senso nei casi in cui il sistema riconosca un maggior valore all’energia condivisa rispetto al prezzo di mercato e spinga verso l’elettrificazione di una quota dei consumi – a ridurre i loro costi di approvvigionamento dell’energia. Uno o più producono e portano a casa incentivo che giustifica l’investimento che hanno sostenuto, gli altri che consumano hanno la bolletta elettrica ridotta (o azzerata) nella componente energia.
Occorre creare un rapporto di simbiosi tra produttore e consumatore, insomma, ottenendone vantaggio reciproco nel nome degli incentivi che lo Stato riconosce per conseguire gli obiettivi propri di autonomia e sostenibilità.
Come si crea una CER?
Affinché una comunità energetica possa dare un effettivo contributo alle situazioni di povertà energetica sarà importante:
- costituire una associazione evitando possibilmente di subordinare la partecipazione alla comunità al pagamento di quote associative;
- prevedere nello Statuto o negli accordi per la ripartizione dei proventi che una quota parte preferenziale delle restituzioni ai membri sia garantita ai soggetti in stato di povertà energetica;
- ridurre quanto più possibile le spese di gestione della piccole comunità attraverso il ricorso a strumenti quanto più possibili semplici come le associazioni non riconosciute; nelle grandi comunità sarà opportuno gestirla all’interno di una cooperativa;
- cercare per quanto possibile di massimizzare le condizioni di convenienza dell’adesione alla piccola comunità attraverso l’uso del beneficio fiscale della detrazione fiscale, ovvero attraverso il convenzionamento con impianti messi a disposizioni dai Comuni.
Oggi in Italia è autorizzata la sperimentazione attraverso la Milleproroghe approvata a marzo 2020 e con il decreto 199/2021 è stata approvata la disciplina a regime da attuarsi con decreti da fare entro giugno di quest’anno. Requisiti:
- devono essere creati impianti nuovi (o eventualmente nuove potenze da revamping)
- max 1MW per avere gli incentivi dedicati
Quali contributi o incentivi sono disponibili?
Ogni valutazione è oggi soggetta alla necessaria cautela in virtù del fatto che sia preliminare rispetto alla pubblicazione dei decreti attuativi previsti per giugno/luglio
La Delibera Arera 318/2020/R/EEL stabilisce che gli incentivi sono calcolati sull’energia condivisa è quella che viene prodotta dagli impianti ad energia rinnovabile e autoconsumata, anche tramite l’utilizzo di sistemi di accumulo, dai membri della comunità. L’incentivo per le comunità energetiche ha una durata di 20 anni e viene erogato dal GSE a conguaglio della somma delle produzioni e i consumi rilevati dal Distributore di ora in ora. Maggiore è il consumo interno alla CER, insomma, e maggiori saranno i ricavi da redistribuire internamente tra i consociati.
Chi investe ha tre tipi di ricavi che si stratificano fino a comporre il vantaggio complessivo di questo tipo di progetto collettivo:
- vendita in ritiro dedicato: 200€/MWh
- ulteriori ricavi per mancati oneri di trasmissione: circa 8€/MWh come restituzione dei costi non sostenuti per la gestione del sistema elettrico. L’energia condivisa tra gli aderenti alla CER infatti non transita nella rete di trasmissione nazionale gestita da Terna (diversa dalla rete di distribuzione gestita da Enel) ma viene auto-consumata all’interno della Comunità.
- incentivo CER:
- per impianti <200KW: 100€/MWh
- per impianti >200KW: da 60 a 80€/MWh, questo è uno dei punti attesi dei decreti attuativi che dovrebbero essere pubblicati a giugno/luglio.
Queste cifre vanno necessariamente prese con cautela, perché la situazione è estremamente volubile e gli eventi bellici in Ucraina hanno reso tutto ancor più instabile. Ma proprio questa instabilità rende appetibili le CER in un Paese che ha stretta necessità di scommettere sulle rinnovabili per trovare una maggior indipendenza energetica di lungo periodo. Il consolidamento delle cifre nei prossimi mesi creerà quelle certezze che consentiranno valutazioni di opportunità più precise: a quel punto la strada per le Comunità Energetiche sarà più facilmente percorribile e potranno davvero diventare una realtà importante nel bilancio energetico del Paese.
L’idea alla base è che chi investe si ripaga l’investimento con l’incentivo. Chi investe può avere capacità propria oppure appoggiarsi a società esterne che realizzano e finanziano l’impianto e fanno pagare un canone di utilizzo, oppure attraverso l’uso di strumenti finanziari o simili (leasing, noleggio operativo). Gli aderenti si vedono azzerato il costo dell’energia elettrica in bolletta per la parte autoconsumata in contemporanea alla produzione. E da qui, l’interesse a realizzare comunque sistemi di accumulo che la “consumino fittiziamente” anche in mancanza di consumi effettivi, per poi rilasciare in tempi differiti (di notte).
Ricordo anche che i Comuni fino a 5.000 abitanti possono finanziarsi a tasso 0.
Come funziona dal punto di vista tecnico?
Il GSE emette periodicamente un accredito al Gestore della Comunità. Questo porta ad avere un unico pagamento, che sarà accreditato all’amministratore della CER e che quest’ultimo deve restituire ai Soci della cooperativa in base ad un qualche parametro statutario (ad esempio in base ai millesimi di proprietà, in misura uguale a tutti i soci della cooperativa, oppure in base all’effettivo utilizzo da parte di ciascun aderente, avendo installato degli opportuni sistemi di misurazione dei flussi e di un software che, ottenute le misure, faccia gli opportuni calcoli). Per questo l’ideale è che la comunità si doti di misuratori e di una piattaforma di gestione adeguata. In aggiunta, pensando al futuro, potrebbe essere anche vantaggioso fare da supporto alla rete elettrica, con la necessità di sapere come e quando si consuma e quindi quando poter essere attivi rispetto al fabbisogno della rete. Maggiore è l’intelligenza complessiva del sistema e maggiore sarà il vantaggio conseguibile.
Servono nuovi impianti o vi si possono partecipare anche impianti già attivi?
Ci sono limiti e proporzioni precisi che occorre rispettare. Gli incentivi incoraggiano l’installazione di nuove risorse per la produzione incrementale di energia, ma anche una porzione di impianti pre-esistenti è tollerata all’interno di un concetto di condivisione in loco:
- Limite max: 1MW per ottenere gli incentivi dedicati
- Max 30% di impianti esistenti, ma senza incentivi
I sistemi di accumulo sono previsti e/o consigliabili anche nel contesto di una CER?
Assolutamente si. Anche nel caso della comunità energetica, più energia viene autoconsumata in contemporanea alla sua produzione – anche attraverso l’accumulo, perché ritenuta di giorno per poi consumarla la notte – e maggiore è il vantaggio conseguibile. L’accumulo è dunque un modo intelligente di ottimizzare gli introiti, acquisendo tutta l’energia possibile durante il giorno per adoperarsi opportunamente nei consumi in orario notturno.
Dal punto di vista delle aziende può essere una scelta conveniente?
Premesso che l’azienda oggi deve essere una PMI, la risposta è sì. L’azienda ottimizza il risultato dell’investimento. Oggi l’azienda che immette in rete si porta a casa pochi centesimi di Euro per ogni KWh; nel caso abbia aderito ad una comunità, il suo risultato sarà quello detto sopra, decisamente superiore e quindi più interessante per ripagare il suo investimento.