Roma – Chi utilizza il cellulare durante un esame di stato, magari per ottenere consigli e suggerimenti dall’esterno o farsi un giro su Google, rischia il sequestro. La commissione d’esame è infatti legittimata a prevenire questo genere di condotta sottraendo l’apparecchio all’utente .
Lo ha ribadito ieri una decisione con cui la quinta sezione penale della Corte di Cassazione ha bocciato la tesi di Alessandra P., a suo tempo partecipante a Napoli all’esame per l’abilitazione alla professione di avvocato, il cui telefonino era stato sottratto dalla commissione esaminatrice nel corso di una prova scritta. A detta della commissione (accusa per la quale è partita l’indagine giudiziaria), l’aspirante avvocato avrebbe usato il telefonino per ottenere consigli dall’esterno.
In conflitto sulla necessità di sequestro e sul protrarsi del sequestro stesso i due tribunali napoletani che se ne sono occupati. Ma poi il pubblico ministero del Tribunale della Libertà ha deciso di appellarsi alla Cassazione che, nella sentenza 34384, trova una via di mezzo tra le diverse tesi e spiega come non si possa dubitare della “legittimità del sequestro, dato che la misura è intervenuta nel corso dello svolgimento dell’azione delittuosa, sicché essa è valsa a scongiurare la possibilità che la condotta illecita della candidata si aggravasse o si protraesse più a lungo”. “L’esclusione delle ulteriore conseguenze dannose – si legge ancora nella sentenza – a seguito dell’espletamento della prova d’esame, costituisce semmai ragione di restituzione” del dispositivo.
Il concetto, dunque, è che, in caso di sequestro, il telefonino possa essere restituito al termine dell’esame senza che il provvedimento di sequestro ne risulti inficiato. La palla passa ora al Tribunale del Riesame a Napoli, che dovrà prendere una decisione definitiva in base all’orientamento espresso dai massimi giudici.