La scure della nuova Web Tax minaccia di calare sul settore digitale italiano, senza fare distinzioni, con effetti potenzialmente nefasti. L’estensione dell’imposta a tutte le realtà dell’industria, tra le più vivaci e virtuose della nostra economia, rischia al tempo stesso di innescare una catena di conseguenze con le quali si troverà a dover fare i conti l’intero sistema Paese.
Le conseguenze negative della nuova Web Tax
È questa la prospettiva delineata da Netcomm, con un riferimento esplicito a una sorta di boomerang per l’Esecutivo stesso e per le casse pubbliche che, nelle intenzioni del Governo, dovrebbero invece beneficiare dell’allargamento dell’imposta. Riportiamo di seguito le parole di Roberto Liscia, Presidente del Consorzio, che già nei giorni scorsi era intervenuto sul tema.
Questa misura rappresenta un colpo di grazia sia per le imprese che operano nel settore dei servizi digitali, sia per quelle usufruiscono di questi servizi, specialmente quelle più piccole o che sono nelle fasi iniziali della loro crescita. La tassa rischia di ridurre il PIL e, a lungo termine, anche il gettito fiscale complessivo, dato che le imprese sarebbero costrette a rallentare le attività di investimento o delocalizzare. Questo crea un ciclo negativo in cui l’imposizione fiscale riduce la competitività delle imprese, rallentando lo sviluppo economico nazionale.
Il dito è puntato contro un passaggio contenuto nella bozza della nuova legge di bilancio, che va a eliminare i limiti di ricavi stabiliti in precedenza per l’applicazione della Web Tax. Ciò significa che, tutte le aziende appartenenti al settore digitale, potrebbero essere chiamate a corrispondere al Fisco il 3% sui ricavi (e non sugli utili), indipendentemente dalla portata e dalla salute del loro business.
Una norma introdotta in origine anni fa, con l’obiettivo dichiarato di porre un freno all’attività non regolamentata delle Big Tech, che però ora rischia di mettere in ginocchio PMI e startup, realtà imprenditoriali che nulla hanno a che vedere con i volumi d’affari dei colossi internazionali. E che, a differenza di questi ultimi, creano occupazione e valore sul territorio.
Dopo le dichiarazioni immediatamente successive alle discussioni sulla Manovra 2025 della scorsa settimana, dalle quali si è appreso anche il possibile incremento al 42% della tassazione sulle plusvalenze da criptovalute, il mondo della politica sembra aver accantonato l’argomento, nonostante il grido d’allarme sollevato dagli addetti ai lavori. C’è da sperare che, dopo il silenzio, non cali anche la scure.