In quello che i suoi creatori hanno già salutato come un evento senza precedenti nella storia dell’informatica, un team di sviluppatori russi afferma di essere riuscito a superare con successo il test di Turing creando un “chatbot” capace di ingannare i giudici umani sulla sua natura artificiale.
Formulato 65 anni fa dal celebre matematico inglese Alan Turing, il succitato test viene indicato come criterio per stabilire se una macchina ha la capacità di pensare per conto proprio, riuscendo a ingannare un esaminatore sulla sua natura. Vladimir Veselov e Eugene Demchenko hanno quindi creato un programma per supercomputer che in alcuni casi è riuscito a farsi passare per Eugene Goostman , ragazzo tredicenne originario di Odessa in Ucraina.
Secondo il comunicato rilasciato dai creatori, il test di Turing prevede che un bot-contendente debba come minimo ingannare il 30 per cento dei giudici umani ( questa la loro interpretazione ), e nel caso di Goostman la percentuale di successo è stata del 33 per cento: non esattamente una vittoria ad ampio margine, in effetti, ma sufficiente a confermare il livello di complessità raggiunto dagli algoritmi di intelligenza artificiale applicati al linguaggio.
Velesov e Demchenko hanno infatti lavorato per migliorare il “controller di dialogo” di Goostman, un algoritmo in grado di rendere una conversazione più “umana” rispetto ai programmi che si limitano a rispondere alle domande, e ulteriore lavoro resta da fare per far evolvere quella che i due sviluppatori chiamano “logica di conversazione”.
Eugene Goostman viene indicato dai suoi creatori come il primo software per computer in grado di passare il test di Turing sull’intelligenza artificiale, e con tanto di verifica indipendente dei risultati, anche se non sono i primi ad aver fatto questo tipo di dichiarazione. Ma piuttosto che alle macchine autocoscienti i primi effetti di questo traguardo potrebbero riguardare il mondo del cyber-crimine: con algoritmi sofisticati al punto da spacciarsi per esseri umani in carne e ossa, avvertono i ricercatori, i rischi di truffa online aumentano in maniera esponenziale.
Alfonso Maruccia