Le autorità europee che si occupano di tutela della privacy, radunate nel gruppo di lavoro Article 29, hanno espresso un primo giudizio sull’applicazione del cosiddetto diritto all’oblio da parte dei motori di ricerca operanti in Europa, arrivando ad un voto sostanzialmente positivo.
Con Diritto all’oblio si intende, in generale, quella delicata applicazione del diritto alla privacy che riconosce il diritto a veder “dimenticati” alcuni episodi che secondo il diretto interessato dovrebbero rimanere sepolti nel passato, in un pericoloso equilibrio tra diritto alla cronaca e quello alla privacy. La discriminante dovrebbe essere costituita dai concetti di non rilevanza e non attualità, concetti tuttavia generici: per questo è stato proprio il gruppo Article 29 che si è occupato di redigere le linee guida per la corretta applicazione di tale diritto di nuova generazione, rivolto non ai motori di ricerca ma alle autorità nazionali, che le hanno adottate per risolvere le controversie come uno strumento flessibile da applicare caso per caso.
Ora è quindi il momento del primo bilancio, che il Gruppo ritiene positivo: “Dalle risposte ricevute dal sondaggio condotto su tale argomento risulta che il sistema previsto per l’applicazione del diritto all’oblio è stato efficace”.
Una posizione, peraltro, assolutamente contraria a quella espressa lo scorso febbraio da Google e secondo cui servirebbero regole più chiare e un carico di responsabilità inferiore per sé e per gli altri motori di ricerca.
Secondo Article 29 , a sei mesi dall’implementazione dei nuovi principi, sono arrivate alle autorità garanti della privacy circa 2mila richieste di riesame delle decisioni prese da Google, un numero assolutamente basso rispetto alle 272mila richieste di rimozione che Google ha ricevuto solo nell’ultimo mese.
Inoltre nella gran parte dei casi sono state respinti i ricorsi contro la decisione presa da Google in quanto la scelta del motore di ricerca è stata considerata giustificata dalle autorità nazionali.
Per questo, “anche se alcuni dei criteri possono essere meglio chiariti”, come per esempio la discriminante costituita dal “ruolo nella vita pubblica” del soggetto richiedente la rimozione o quella necessaria a valutare il superamento ed il conseguente insorgere dell’irrilevanza di una notizia, i dubbi finora sembrano in percentuale assolutamente minimi.
Più realista del re, la Russia, che non si limita ad accordare il proprio placet alla normativa europea, ma vorrebbe estenderne la portata con linee guida per la sua applicazione più stringenti di quelle stabilite da Article 29: secondo le disposizioni attualmente al vaglio del Parlamento russo una qualsiasi persona avrebbe il diritto di veder rimosso dai risultati di una ricerca qualsiasi risultato che lo riguardasse senza analisi di legittimità. Negare tale richiesta comporterebbe per il motore di ricerca una multa fino a 3 milioni di Rubli, poco meno di 50mila euro.
Claudio Tamuburrino