L’edizione 2019 della conferenza F8 organizzata da Facebook è andata in scena in un momento estremamente delicato per la piattaforma, da più parti presa di mira per le modalità di trattamento dei dati e per la sicurezza di un’infrastruttura che in più occasioni ha mostrato tutti i propri limiti. Non a caso, il mantra scelto dal social network per l’occasione associa alla parola futuro il termine privacy.
Facebook: “il futuro è privato”
Una dichiarazione d’intenti, che va di fatto a ribadire la promessa formulata all’inizio dell’anno dal suo numero uno. Mark Zuckerberg e i suoi sono oggi più che mai consapevoli di dover lavorare al fine di riguadagnare la fiducia compromessa di coloro che compongono la community, ricostruendo mattone dopo mattone quel rapporto andato incrinandosi dall’esplosione dello scandalo Cambridge Analytica in poi. Non sarà facile e non sarà scontato. La più grande tra le realtà odierne del mondo social lo sa bene e il claim scelto per accompagnare la comparsa del suo fondatore sul palco dell’evento è sembrato un tentativo di chiudere il recinto quando buona parte dei buoi è scappata (o ha iniziato a farlo).
The future is private.
Non che Facebook intraveda nell’immediato futuro un qualche pericolo per la sua sopravvivenza o per il proprio business. Basti pensare che il progetto nato con l’ambizione di diventare il suo concorrente numero uno, Google+, ha miseramente fallito l’obiettivo. Ad oggi gestisce gli account appartenenti a oltre due miliardi e mezzo di persone, una fetta non indifferente della popolazione mondiale, continuando a macinare profitti legati in primo luogo all’advertising. Ha però (finalmente) preso coscienza della necessità di correggere il tiro e di come un post di scuse o l’introduzione di una nuova funzionalità non siano (più) sufficienti per porre rimedio agli errori commessi.
Fermare la valanga
Zuckerberg e il suo entourage si trovano a dover fare i conti con un’entità cresciuta forse troppo e troppo in fretta, arrivata a radicarsi profondamente nella quotidianità degli utenti che la compongono, trasformando pian piano e senza quasi che ce ne accorgessimo le dinamiche imposte in nuove regole per la comunicazione, lo scambio, la circolazione delle informazioni. Ora mettono nero su bianco l’intenzione di rendere la privacy un valore assoluto e il requisito imprescindibile di ogni scelta operata, ma l’eredità del passato rischia di essere oltremisura pesante, responsabile di un’inerzia parecchio difficile da invertire.
Facebook e le sue vulnerabilità, non solo quelle software o infrastrutturali, sono un’enorme valanga che corre veloce sul fianco della montagna, giù da una delle vette più alte del mondo online. E noi siamo a valle.