Sono trascorsi esattamente 15 anni dal debutto della prima, rudimentale versione di Facebook. Era l’inizio del febbraio 2004. Un progetto nato tra corridoi, aule e dormitori dell’Università di Harvard, pensato dal suo attuale numero uno Mark Zuckerberg e da alcuni compagni ben presto usciti di scena come piattaforma per connettere gli studenti. Da lì a breve un progressivo ampliamento dei confini, fino ad arrivare al colosso del mondo online che oggi conta 2,7 miliardi di iscritti attivi su base mensile (dati ufficiali).
In un anno oltre un milione di studenti erano connessi al sito. In un paio d’anni ci siamo trovati a lavorare per rendere il servizio disponibile a tutti. Sono serviti quattro anni per connettere 100 milioni di persone e meno di un decennio per arrivare a un miliardo.
I primi 15 anni di FB
Il CEO e co-fondatore del social network in blu interviene oggi con un post che ne ripercorre brevemente la storia, per poi sottolineare il contributo che la piattaforma sta fornendo a livello globale, mettendo in comunicazione le persone e aiutando la diffusione delle informazioni. Una sorta di autocelebrazione, per certi versi più che giustificata (oggi il gruppo di Menlo Park macina utili senza soluzione di continuità), ma che non considera minimamente le criticità di un’impresa che continua a dare l’impressione di essere cresciuta a tal punto e con un tal ritmo da essere sfuggita al controllo del suo stesso padre.
Fifteen years ago today, I launched the first version of the Facebook website from my college dorm. At the time, it…
Pubblicato da Mark Zuckerberg su Lunedì 4 febbraio 2019
Zuckerberg enfatizza il ruolo dirompente che Facebook ha avuto e sta avendo nel definire nuove modalità di connessione tra i soggetti e nello scambio delle informazioni. Nulla da eccepire, nessuno afferma il contrario, altrimenti la piattaforma non finirebbe con preoccupante regolarità al centro di dibattiti e discussioni, ma l’errore che Mark compie è quello di attribuire a questo impatto un valore esclusivamente positivo.
La maggior parte delle esperienze offerte in passato era stabilita da grandi istituzioni gerarchiche: governi, mass media, università, organizzazioni religiose. Questo ha garantito stabilità, risultando però spesso remoto o inaccessibile. Il secolo corrente è definito da reti di persone che hanno la libertà di interagire con chi vogliono e la possibilità di condividere in modo semplice idee ed esperienze. Facebook non è l’unico network che sta supportando questo cambiamento, è parte di una tendenza più ampia che interessa Internet.
Facebook non è Internet
Riteniamo corretto mettere nero su bianco come Facebook non sia Internet (così come non lo sono Google o Amazon) e sarebbe fuori luogo non riconoscere il potenziale di uno strumento come il social network per la circolazione di idee e conoscenza.
Ora ci si può connettere con tutti e far sentire la propria voce. Non è più necessario passare dalle istituzioni come prima. Le persone hanno ora molto più potere e questo crea opportunità, ma anche nuove sfide e responsabilità.
È però in questo passaggio che l’intervento di Zuckerberg sembra scricchiolare. Né Facebook né i suoi concorrenti (attuali o futuri) sono o devono essere messi nella posizione di sostituirsi alle istituzioni. Le possono invece affiancare e supportare con l’obiettivo comune di responsabilizzare e sostenere le libertà di espressione e informazione degli individui.
Abbiamo registrato progressi importanti a proposito di questi problemi, dando vita ad alcuni dei sistemi più avanzati al mondo per risolverli, ma c’è ancora molto da fare.
Ci limitiamo a interpretare quel “c’è ancora molto da fare” come un eufemismo. Se scorriamo l’elenco delle vicende che nell’ultimo biennio hanno messo in ginocchio la piattaforma e le sue modalità di trattamento dei dati (dal caso Cambridge Analytica alle influenze estere nelle presidenziali USA) non possiamo che tornare a quanto affermato in apertura: riteniamo la crescita di Facebook tanto repentina da non aver permesso ai suoi responsabili di indirizzarla nel migliore dei modi e forse nemmeno di comprenderla appieno.
Con i network composti da persone che rimpiazzano le gerarchie tradizionali e ridisegnano parecchie delle istituzioni nella nostra società, dai governi al business fino ai media e alle comunità, c’è una tendenza che porta le persone a lamentarsi di questo cambiamento, a enfatizzarne eccessivamente i tratti negativi e in alcuni casi a spingersi tanto oltre da arrivare a sostenere che dare potere alle persone nel modo in cui lo stanno facendo Internet e questi network sia pericoloso per la società e la democrazia.
Un uomo (solo) al comando
Se prima l’intervento di Zuckerberg ci è sembrato scricchiolare, qui scivola e si schianta contro una realtà dei fatti che dice come “le persone” non solo abbiano il sacrosanto diritto di “enfatizzarne eccessivamente i tratti negativi” o di intravedere pericoli, ma siano nella posizione di “lamentarsi”, alzando la voce e chiedendo cambiamenti immediati, concreti. Le informazioni sulle quali è stato costruito il business miliardario nei primi 15 anni di attività appartengono agli individui e troppo spesso si è assistito a un loro abuso, con dinamiche talvolta chiare, altre meno.
Rimaniamo dell’idea che demonizzare uno strumento in grado di connettere una fetta importante della popolazione mondiale sia poco lungimirante, ma interpretiamo l’uscita odierna del suo uomo al comando come un ennesimo indizio di come forse lui stesso non abbia una corretta percezione di cosa Facebook sia diventato, di cosa stia diventando.