È esploso nel week-end uno degli scandali recenti più gravi con al centro Facebook, rete di contatti telematici che maschera da “social networking” il business della gestione dei dati personali di miliardi di persone più o meno consapevoli. A volte, come nel caso in oggetto, il business prende il sopravvento sull’aspetto “social” e le corporation di rete svelano il loro vero volto da imprese commerciali poco inclini alla beneficenza.
A dare fuoco alle polveri è stato Christopher Wylie , ex-impiegato della società di analisi Cambridge Analytica (CA) di proprietà del contractor militare Strategic Communications Laboratories (SCL) specializzato in comunicazioni strategiche. Qualche anno fa, CA ha messo le mani sui dati personali di “50 milioni di utenti” di Facebook grazie alla collaborazione di Aleksandr Kogan, psicologo dell’Università di Cambridge, e della sua app “thisisyourdigitallife”.
La app del professore prometteva “previsioni di personalità” con in più il pagamento di 1 o 2 dollari (su Amazon Mechanical Turk), a patto che gli utenti le avessero garantito il permesso di accedere ai loro profili su Facebook. Dai 270.000 “turker” che hanno concesso il permesso , poi, la app ha raccolto informazioni anche sugli “amici” dei suddetti utenti – senza che questi avessero potuto dire alcunché sulla cosa.
Stando alle spiegazioni fornite da Facebook , la collaborazione di Kogan con la società di analisi CA non è avvenuta nel rispetto delle policy del social network, e non a caso le policy sono state poi diventate più restrittive.
Facebook ha chiesto a Kogan e a CA la distruzione dei dati raccolti senza permesso, e a quanto pare entrambe i soggetti (lo sviluppatore e la società di analisi) avevano “certificato” questo processo di distruzione. Poi è arrivato Wylie, che ha svelato come in realtà CA non avesse affatto distrutti quei dati, anzi: le informazioni sarebbero in seguito state sfruttate dai gestori della campagna presidenziale di Donald Trump.
Lo scandalo nasce evidentemente dalle rivelazioni di Wylie, più che dalle normali pratiche di un business “social” come Facebook, e ha ovviamente portato a reazioni piuttosto prevedibili: il social network nega la “violazione” degli account parlando soltanto di un “abuso” da parte di CA, e la società di analisi prova a chiamarsi fuori dicendo di aver cancellato i dati incriminati dopo aver scoperto la loro origine illegittima.
In attesa che gli utenti comuni recepiscano il messaggio – allarmato ma realistico – di Edward Snowden, che ha definito Facebook come “una società di sorveglianza rivenduta come social media”, la corporation di Mark Zuckerberg deve fare i conti con il tracollo in borsa (-6,8%) e una crisi che coinvolge tutto il settore hi-tech. In futuro potrebbero aggiungersi i guai delle indagini delle autorità, con la sola FCC americana che potrebbe comminare miliardi di dollari di multa per la violazione del consenso informato.
Alfonso Maruccia