Aveva l’ambizione di configurarsi come la più colossale azione collettiva europea, per risarcire tutti i cittadini che si sentissero lesi dai comportamenti di Facebook e restituire loro il diritto alla privacy: il Tribunale di Vienna, presso cui l’attivista Max Schrems aveva aperto il contenzioso, ha scelto di non discuterlo .
L’austriaco Schrems, una vita dedicata a combattere gli abusi perpetrati da Facebook, si era rivolto alla giustizia del suo paese ad agosto dello scorso anno: chiedeva che fossero esaminate le relazioni pericolose ed eventualmente consenzienti intercorse tra l’intelligence statunitense e il social network, emerse con le rivelazioni che si sono avvicendate nel quadro del Datagate; chiedeva che venisse valutato il comportamento di Facebook in base alle leggi che vigono in Europa in materia di consensi al tracciamento, anche attraverso i like e le funzioni connesse a Graph, all’analisi dei dati personali e alla condivisione dei dati a servizi terzi. Chiedeva che gli utenti non statunitensi o canadesi che avessero aderito alla class action, 25mila già coinvolti e 60mila pronti a partecipare, venissero risarciti dalla piattaforma in blu con 500 euro ciascuno.
Il tribunale di Vienna, dopo mesi, ha respinto la istanze di Schrems e degli utenti senza entrare nel merito del contenuto delle richieste: semplicemente, ha riferito di non poter operare per una questione procedurale relativa alla giurisdizione.
L’attivista, ha spiegato la giustizia austriaca, si sarebbe dovuto rivolgere alla giustizia irlandese, poiché Facebook ha in Irlanda la sede competente per le attività che non siano statunitensi o canadesi. L’Austria, così ha argomentato il tribunale, accetta di discutere azioni legali aperte da residenti nei confronti di servizi che operino in altri paesi solo qualora si tratti di utenti che utilizzano i servizi in ambito privato: Schrems, secondo il tribunale , avrebbe impiegato il social network per la promozione delle proprie attività , e nutrirebbe quindi un interesse particolare nei confronti dell’esito dell’azione legale.
Schrems e i suoi avvocati hanno già riferito di voler ricorrere in appello per ottenere l’attenzione della giustizia austriaca, dopo aver mobilitato l’Irlanda negli scorsi anni a dopo aver ottenuto più trasparenza e più tutele a favore degli utenti europei dei social network. Proprio l’Irlanda, nei mesi scorsi, ha deferito alla corte di Giustizia dell’Unione Europea una delle ramificazioni del caso sollevato da Scherms, dopo che l’authority della privacy locale ha ritenuto non fosse in suo potere confrontarsi con la disciplina del safe harbor che regola il trasferimento di dati con gli Stati Uniti e che dovrebbe fungere da punto di riferimento per lo sfruttamento dei dati in possesso del social network.
*LOL* The reactions from @Facebook are wonderful! Poor little multi complains about a #crusade by a student..;D
– Max Schrems (@maxschrems) 1 Luglio 2015
Facebook, dal canto suo, non ha esitato a interpretare la decisione austriaca come dimostrazione del fatto che il caso fosse “superfluo”. Non sorprende poi, viste le specificità che il contesto dell’Irlanda offre a differenza di altri zelanti stati europei , che Facebook si dica “felice di continuare a lavorare con il regolatore di riferimento, il Garante della Privacy irlandese, per risolvere qualsiasi dubbio relativo al nostro impegno nel proteggere le informazioni personali”.
Gaia Bottà