Leggendo il contributo formulato dal Consiglio d’Europa un paio di settimane or sono, pronto per essere presentato all’Internet Governance Forum del prossimo dicembre, si può restare senza fiato. Parafrasando un famoso (?) proverbio zen, lo stolto guarda il dito che indica il social network : mentre il saggio consiglierebbe invece di guardare chi lo usa quel social network.
La cosa che forse appare meno comprensibile è la necessità di preservare a tutti i costi la propria privacy digitale , qualunque cosa essa sia. La necessità, cioè, di conservare intatta la propria immagine di individuo rispettabile onde non ostacolare la propria vita e la propria carriera professionale . Si torna insomma a parlare , indirettamente, della leggenda metropolitana dei datori di lavoro che spiano i dipendenti o i potenziali assunti sui social network: non si sa bene come, dove e quando. Ma, nel caso, non ci sarebbe molta differenza a quanto già è accaduto o accade senza che la Rete venga coinvolta: se dici male del tuo capo, e lui lo viene a sapere, sono dolori da ben prima che Internet venisse anche solo immaginata.
Eppure c’è chi ritiene questa possibilità tutt’altro che remota, c’è pure chi auspica di costruirsi una (fittizia?) cyber-immagine integerrima da presentare al mondo e al metamondo come se questo dovesse bastare a renderci più in gamba. Costoro puntano ad irradiare da sé un alone di seriosa professionalità, costituita da una robusta dose di presentabilità e da un presente e un passato immacolati. Ed è senz’altro il motivo per cui i Garanti riuniti a Strasburgo, che evidentemente condividono queste preoccupazioni, hanno scritto quel documento che intendono presentare a Hyderabad il prossimo dicembre.
C’è invece chi pensa alla Rete in modo diverso, c’è chi vede in Internet un’occasione nella quale tentare di costruire un nuovo modello di relazione, in linea con la filosofia che sembrava animare gli esordi della Rete di massa nei primi anni ’90. Un luogo denso di contraddizioni, ma anche teatro dove intrecciare rapporti sinceri e nel quale porre sul medesimo piano la sfera pubblica e privata: Internet è conoscenza, Internet è estensione della vita reale, Internet è il luogo dove le barriere di tempo, spazio e ruoli si annullano e dove chiunque è sovrano della sua nicchia e interlocutore rispettabile. Su Internet non esistono gerarchie prestabilite, non esistono legami indissolubili, non esistono barriere insormontabili: chiunque può fare la prima mossa, le idee vincenti sono sempre le migliori e non quelle che godono dell’appoggio politico ed economico più solido.
Quanti, invece, guardano con favore all’arrivo di regole per rinforzare la propria privacy in Rete, tendono a ricercare e ricreare le stesse dinamiche che avevano e che hanno con gli altri individui della vita reale pure in quella virtuale. Un percorso spesso fatto di burocrazia , di relazioni mediate da interlocutori più o meno rispettabili e più o meno credibili, e che comunque impongono un certo numero di passaggi obbligati e una serie di condizioni imprescindibili per raggiungere uno scopo. Spesso scendendo a compromessi. In ogni caso snaturando la Rete .
La differenza tra i due approcci è evidente anche nel modo in cui si utilizza la tecnologia. Chi guarda con diffidenza a Internet non crede davvero nelle sue potenzialità , ed è pronto a giudicare con asprezza ogni incertezza di un meccanismo che è ancora in evoluzione: iper-critico, ma pure iper-sospettoso. Gli altri la vedono più semplicemente come estensione della propria memoria, estensione del flusso di coscienza individuale e collettivo: al suo interno vanno collocati tutti i contenuti che possano ampliare la conoscenza personale e complessiva, c’è spazio per qualche fuga di dati e qualche incertezza che – comunque – sarà solo passeggera (ci si augura).
È un approccio, quest’ultimo, che può senz’altro spiazzare o urtare talune sensibilità, che mantengono inalterata la definizione di intimità : non tutti sono pronti a condividere con perfetti sconosciuti i propri pensieri e le proprie attività. Ma è, allo stato dei fatti, un principio che in qualche modo cozza contro le promesse di rivoluzione culturale e sociale che alcuni speravano Internet potesse e dovesse mantenere: la Rete ha garantito una rivoluzione nelle capacità comunicative tra gli scienziati di tutto il mondo, allargando i loro orizzonti e accelerando il progresso, e allo stesso modo le relazioni interpersonali finiranno per cambiare in virtù del turbine di ipertesto che oggi si incarna nei profili dei social network.
Se i Garanti sentono il bisogno di ribadire certi principi, tuttavia, si vede che la rivoluzione è rimasta entro i confini di poche categorie sociali e culturali, senza scalfire i principi fondamentali di privacy validi per la maggioranza. Ma quanto ancora coloro che la pensano in questo modo saranno la maggioranza? La tecnologia, entro pochi anni, consentirà di avviare comunicazioni digitali attraverso il cervello umano , esponendo la coscienza individuale ad una enorme quantità di informazioni personali e pubbliche: allora forse ci sarà davvero da ragionare su quanto tutto questo comporterà sul piano sociale, ma al contempo le conversazioni si saranno evolute a tal punto che forse il problema potrà considerarsi superato.
Il problema oggi esiste, visto che stanno venendo ridefiniti gli stessi principi di relazione tra gli individui. Senza rischiare di scivolare nel fantascientifico, bisogna chiedersi se non stiamo forse vivendo i primi vagiti di una sorta di identità collettiva che cambierà – si spera in meglio – le azioni del genere umano sia a livello individuale che collettivo. Questo significa anche che i vincoli odierni della privacy saranno spezzati in nome di un principio di ordine superiore, incomprensibile all’ortodossia attuale ma già intravisto dalle eterodossie dei navigatori: forse il giorno in cui si verrà considerati per quanto si vale , e non per come si appare, non è poi così lontano.
Non servono regole, non servono limiti e barriere per rendere Internet un posto migliore. Internet è già un posto migliore . In Rete non c’è il pericolo di violare la privacy altrui, c’è semmai il rischio che si faccia un uso sbagliato degli strumenti messi a disposizione: più che impedirne o – nella migliore delle ipotesi – sconsigliarne l’utilizzo, bisogna far si che gli individui imparino ad usarli questi strumenti. Se non bisogna lasciare i bambini davanti alla TV da soli per evitare che guardino i cartoni sbagliati, perché Internet dovrebbe ricevere un trattamento diverso ?
Nella vita di tutti giorni si è già esposti a decine di tentativi di invasione della propria privacy, che poco hanno a che vedere con la Rete ma che non sembrano godere della stessa morbosa attenzione riservata a Internet: che dire delle tessere fedeltà , dei concorsi a premi, delle continue richieste di informazioni personali per ottenere sconti, inviti, promozioni? Ci sono carrelli che monitorano il percorso tra gli scaffali al supermercato, antenne che spiano i cellulari dei clienti per fare lo stesso: possibile che tutto questo sia meno insidioso di scambiarsi due sciocchezze e due foto in rete?
Ancora una volta l’evoluzione impone una scelta: dobbiamo considerare la tecnologia un rischio, oppure valutare una volta per tutte l’impatto che quest’ultima ha sulla realtà? È l’individuo che utilizza i computer e Internet, non il contrario . Quelli di oggi, poi, non sono i social network “definitivi”, ma solo una tappa dell’evoluzione della Rete: occorre tenerne conto e comprendere che, volenti o nolenti, l’attuale idea di intimità e privacy finirà per trasformarsi. Chi nasce oggi, digitalmente o fisicamente, ha una visione molto diversa di Internet rispetto a chi è nato trenta, quaranta, cinquant’anni fa. E siamo solo all’inizio: a Hyderabad, e ovunque si discuta del futuro della Rete, bisognerà tenerne conto.
Luca Annunziata