Facebook Srl, Facebook Inc e Facebook Ireland LTD sono state condannate
per atti di concorrenza sleale nei confronti della milanese Business Competence Srl e per violazioni del diritto di autore sulla banca dati rappresentata da Faround , applicazione di geolocalizzazione della stessa Business Competence. A stabilirlo è la Sezione Specializzata in materia di Impresa del Tribunale di Milano con la sentenza n. 9549 del primo Agosto 2016 secondo cui l’ applicazione Nearby del social network utilizzerebbe la stessa banca dati elettronica rappresentata dall’applicazione Faround.
Faround è un’app mobile sviluppata nel 2012 con il nome di Facearound (successivamente rinominata Faround su richiesta di Facebook) che seleziona e organizza i dati presenti sui profili Facebook degli utenti che vi accedono organizzandoli e visualizzandoli poi su una mappa interattiva, sulla quale sono divisi per categoria gli esercizi commerciali più prossimi all’utente, completi dei dati relativi e di eventuali offerte, nonché il gradimento espresso dalla community sugli stessi: il business di Business Competence consiste poi nel vendere in maniera tradizionale spazi pubblicitari alle imprese che vogliono godere di maggiore visibilità sulla mappa Faround.
Per quanto tali dati non siano di proprietà di Faround (sono stati peraltro ottenuti accedendo a Facebook come sviluppatore indipendente), l’organizzazione degli stessi in tale forma è ritenuta dotata di un certo grado di originalità e permette di tutelarli come banca dati coperta da diritto d’autore: “L’originalità di Faround consiste nell’avere creato una serie di criteri di selezione, organizzazione e presentazione dei dati studiati per funzionare con le categorie di dati ospitati sul social network Facebook. I precedenti programmi elaborati da Facebook (Facebook Places) e da terzi (Foursquare e Yelp) non avevano le stesse funzionalità di Faround: il primo era una sorta di cerca-persona che consentiva solo di rilevare la presenza di amici nelle vicinanze e non, piuttosto, una geolocalizzazione di esercizi commerciali vicini all’utente, mentre gli altri erano studiati sulla base di algoritmi logici che lavoravano sui dati inseriti dai soggetti iscritti ai rispettivi social network, e non di Facebook, ben più diffuso”.
Per questo Business Competence, che afferma di aver speso circa mezzo milione di euro per lo sviluppo della piattaforma, ha mosso nei confronti di Facebook l’accusa di avergli rubato il concept e il format dell’applicazione, implementata con un semplice cambio di layout nella sua Nearby , lanciata poco dopo Faround. Contro il social network anche il fatto che Faround fosse approvata e collocata da lei stessa nel suo App Store dove aveva riscontrato un non trascurabile successo e che Facebook fosse riuscita in relativamente poco tempo a sviluppare la sua versione e – in concomitanza con il lancio della sua Nearby – ad attirare anche i principali inserzionisti professionali, situazione che ha permesso di contestarle anche la concorrenza sleale nella forma dello storno di clientela.
Il giudice, che non ha avuto accesso al codice sorgente dell’applicazione ma si è basato sulla comparazione delle funzionalità delle due app, non ha inoltre accolto la sua tesi secondo cui l’algoritmo di Faround e del suo Nearby fossero diversi (segno che quest’ultimo fosse stato sviluppato in modo autonomo e indipendente) e che – soprattutto – già nel mese di gennaio 2012, ovvero prima del lancio di Faround, gli sviluppatori Facebook stessero già provvedendo alle operazioni di testing della versione beta di Nearby.
Con la sentenza il Tribunale di Milano ha stabilito la pubblicità della decisione (tipica misura nei casi di concorrenza sleale), attraverso la sua pubblicazione da parte di Facebook sui due quotidiani nazionali il “Corriere della Sera” e “Il Sole 24 Ore” nonché, per almeno quindici giorni, sulla pagina iniziale di facebook.com, ma soprattutto proibito ogni ulteriore utilizzo in Italia dell’applicazione Nearby disponendo una penale pari a 45mila euro per ogni giorno di violazione di tali disposizioni. Resta inoltre da stabilire, con diverso giudizio, i danni dovuti alla parte offesa.
Anche per questo Facebook ha immediatamente impugnato la decisione che dovrà dunque essere discussa anche dalla Corte d’Appello di Milano, che ha però già rigettato l’istanza di sospensione della misura provvisoria decisa in primo grado.
Claudio Tamburrino