Un nuovo report comparso sulle pagine del New York Times parla di un “accesso intrusivo” ai dati degli utenti consentito da Facebook a più di 150 grandi aziende: molte appartengono all’ambito hi-tech, ma ci sono anche automaker ed esponenti dei media. Questi gruppi, partner del social network, avrebbero operato con modalità differenti rispetto a quanto previsto dalle regole stabilite per la tutela della privacy, sulla base di accordi siglati fin dal 2010, molti dei quali ancora attivi e operativi nel 2017.
Facebook: i dati degli utenti e le terze parti
Vengono citate diverse centinaia di pagine riconducibili a documentazione interna e interviste condotte con circa 50 ex dipendenti. Ciò che emerge è l’attività svolta dal colosso di Mark Zuckerberg al fine di spingere la propria crescita e incrementare le entrate legate all’advertising. Una dinamica basata sul coinvolgimento di società partner, che per rendere i loro prodotti e servizi maggiormente attrattivi per il pubblico hanno scelto di integrarvi funzionalità di Facebook.
Anche Netflix, Spotify, Apple e Microsoft
Tra queste anche Microsoft, che attraverso il motore di ricerca Bing è stata in grado di consultare senza ottenerne esplicita autorizzazione tutti i nomi presenti nella lista amici degli utenti. Ci sono poi due big del settore streaming come Netflix e Spotify, ai quali la fonte attribuisce l’abilità di leggere i messaggi privati scambiati dagli iscritti al social. Tra gli altri gruppi importanti ai quali sarebbe stata consentita la consultazione delle informazioni figurano anche Sony, Yahoo, Amazon e Apple, quest’ultima in grado di accedere ai contatti e agli appuntamenti inseriti nel calendario.
Se tutto ciò fosse confermato, andrebbe a smentire le dichiarazioni di Zuckerberg e del suo entourage, che più volte hanno ribadito come Facebook non permetta più dal 2014-2015 pratiche di questo tipo, proprio al fine di garantire una maggiore tutela della privacy ai suoi iscritti. Inoltre, rappresenterebbe una violazione dell’accordo siglato nel 2011 con la FTC che prevede l’obbligo di ottenere l’autorizzazione esplicita da parte degli utenti prima di cedere le informazioni a terze parti. Citiamo un passaggio dell’articolo pubblicato dal NYT, in forma tradotta.
Alcuni dei partner più importanti come Amazon, Microsoft e Yahoo hanno dichiarato di aver usato le informazioni in modo appropriato, rifiutandosi però di svelare i dettagli degli accordi.
La posizione di Facebook
Alla luce di quanto emerso, una portavoce del social network ha affidato alla redazione del sito Ars Technica due dichiarazioni. Entrambe sono attribuite a Steve Satterfield, Director of Privacy and Public Policy. Di seguito la prima.
I partner di Facebook non possono ignorare le impostazioni della privacy degli utenti e non è corretto affermare che lo stiano facendo. Nel corso degli anni abbiamo collaborato con altre aziende per consentire alle persone di usare Facebook su piattaforme e dispositivi per i quali non garantiamo il supporto. A differenza di un gioco, un servizio di streaming o un’applicazione di terze parti, che offrono esperienze indipendenti da Facebook, questi partner possono mettere a disposizione solo funzionalità specifiche di Facebook e non sono in grado di utilizzare le informazioni per altri scopi.
La seconda, invece, si apre con un’ammissione di consapevolezza su quanto il social debba ancora lavorare sul fonte della privacy e al fine di garantire un’adeguata tutela delle informazioni raccolte. In ogni caso, nessuna delle due smentisce o nega le pratiche portate alla luce oggi dal NYT.
Sappiamo di avere del lavoro da compiere per riconquistare la fiducia degli utenti. Proteggere le informazioni delle persone richiede team più solidi, migliori tecnologie e policy più chiare ed è quello su cui ci siamo concentrati per la maggior parte del 2018. Le partnership rappresentano uno degli aspetti sui quali porre l’attenzione e, come abbiamo detto, stiamo interrompendo quelle basate sull’integrazione realizzate in modo da semplificare l’accesso a Facebook da parte degli utenti.
2018, l’annus horribilis di Facebook
Si avvia dunque verso la chiusura quello che può essere definito senza troppi giri di parole e senza timore di smentita l’annus horribilis di Facebook: dall’esplosione del caso Cambridge Analytica alle pratiche non sempre trasparenti finalizzate a incrementare il business legato all’advertising, passando per una serie di bug che hanno compromesso la solidità dei sistemi ai quali viene delegata la difesa delle informazioni ed esposto i dati degli utenti. Mark Zuckerberg e i suoi hanno molto da fare per riconquistare la fiducia degli oltre due miliardi di iscritti alla piattaforma.