Facebook permette agli inserzionisti di escludere certi tipi di pubblico rispetto alla presunta appartenenza etnica e con ciò viola le leggi che negli USA puniscono la discriminazione: dopo le polemiche sollevate dai media, a denunciare il social network sono ora i cittadini e gli avvocati, che hanno imbastito una class action con l’intento di restituire ai cittadini pari dignità e pari opportunità, e di ottenere un opportuno risarcimento per le violazioni finora commesse.
Facebook, come noto , ha da tempo adottato il proprio sistema di targettizzazione a fini pubblicitari basato su affinità etniche : ha sperimentato fin dal 2014, e a fine 2015 è stato implementato per servire gli inserzionisti che si vogliano rivolgere a pubblici specifici . Nei giorni scorsi la tematica è tornata a suscitare dibattito con una inchiesta di ProPublica che si è addentrata nel sistema di targettizzazione pubblicitaria, per esaminarlo alla luce delle leggi federali americane che proibiscono la pubblicità discriminatoria , nello specifico il Fair Housing Act del 1968, per rilevare potenziali abusi. Il social network era prontamente intervenuto per sottolineare come la profilazione sia delineata a partire da interessi che gli utenti possono modificare per mezzo delle impostazioni, e quindi non sulla base di una classificazione della reale etnia di appartenenza, e per difendere gli usi positivi e perfettamente legali di questa soluzione. Facebook aveva altresì ammesso che in capo agli inserzionisti esistesse la possibilità di abusi, qualora ad esempio escludessero deliberatamente certi gruppi da inserzioni per la ricerca di impiego o per offerte immobiliari .
È proprio su queste eventualità che si concentra la denuncia depositata da tre utenti e dai loro avvocati a stretto giro dalla riemersione mediatica della polemica. La piattaforma pubblicitaria di Facebook viene descritta come uno strumento che “pubblica, e fa in modo che vengano pubblicate, delle inserzioni di lavoro e immobiliari discriminatorie e illegali”: con l’ausilio di un bottone denominato exclude people “gli inserzionisti possono fare in modo che i loro annunci non vengano visualizzati da utenti le cui caratteristiche delineino profili come African American (US) , Asian American (US) o Immigrant “. Nella denuncia, con cui si auspica di avviare una class action, non si chiede di accantonare il sistema di advertising basato su questo tipo di profilazione, poiché esistono “usi legali e desiderabili per queste funzionalità”, ma si chiede che Facebook interrompa le declinazioni illegali del sistema .
Il meccanismo con cui Facebook rischia di agevolare gli usi illegali della propria piattaforma di advertising sarebbe discriminatorio nel momento in cui non permette di escludere la categoria demografica di “White” o di “Caucasian Americans” dal pubblico target e nel momento in cui non impedisce agli inserzionisti che propongono offerte di lavoro o offerte immobiliari di attivare il sistema della profilazione, approvando così, a dispetto delle proprie policy , annunci pubblicitari che appaiono in violazione della legge statunitense.
“Ci sono più di 156 milioni di detentori di account Facebook negli States” recita la denuncia, e “il numero degli individui che ricadono in una delle classificazioni a rischio di abusi che hanno usato Facebook nei due anni precedenti all’avvio di questa denuncia si misura probabilmente nell’ordine dei milioni”. Il monito è esplicito e probabilmente, in vista della attivazione della piattaforma dedicata a domanda e offerta di lavoro, il social network soppeserà opportunamente la declinazione dei “profile tag” utili a descrivere i candidati.
Gaia Bottà