Irretiti dalle dinamiche del gioco social, armati delle carte di credito dei genitori, hanno convertito denaro sonante in Facebook Credits, valuta virtuale in corso fino al 2012 : le loro famiglie, convinte che lo scialacquare dei piccoli fosse stato incoraggiato dai meccanismi della piattaforma di acquisti del social network, si sono scagliate contro Menlo Park. Facebook dovrà confrontarsi con le loro richieste in tribunale.
La denuncia era stata depositata da due genitori nel 2012: l’uno aveva concesso 20 dollari al figlio per fare acquisti nel contesto di “Ninja Saga” e si era ritrovato con un contro prosciugato di diverse centinaia di dollari, in quanto il piccolo non aveva compreso che gli acquisti di moneta virtuale comportassero esborsi reali; l’altro aveva rilevato una spesa non autorizzata di oltre mille dollari, compiuta dal minore senza ottenere alcun permesso. Entrambe le famiglie avevano chiesto a Facebook un rimborso per le spese incaute, il social network aveva riconosciuto un risarcimento di 59.90 dollari solo alla seconda famiglia: la legge californiana ammette che i minori possano non essere pienamente consapevoli riguardo ai contratti che stipulano, contratti che possono essere invalidati nel momento in cui si verifichi una transazione di denaro appartenente a terzi.
La denuncia, che ha assunto lo status di class action, è stata da subito contrastata da Facebook: il social network aveva spiegato che, secondo le policy , rimaste sostanzialmente invariate con il passaggio dai Credits al sistema del servizio Pagamenti, spetta ai genitori vigilare sulle transazioni dei minori e che gli eventuali rimborsi sono valutati caso per caso, motivo per cui sarebbe impossibile garantire l’equità in un procedimento collettivo.
Quello che i genitori statunitensi chiedono a Facebook è però un cambiamento della policy, affinché si possano arginare le spese dei figli con strumenti più efficaci di moniti e raccomandazioni: il confronto in tribunale è stato fissato per il mese di ottobre.
Le azioni legali sollevate dagli utenti sono risultate utili nel caso di Google e Apple , che hanno tarato i meccanismi dei propri store online per concedere ai genitori di fissare dei blocchi alle transazioni effettuate sui loro account, hanno accettato di rifondere le famiglie degli acquisti incauti e hanno promesso più trasparenza , anche nel contesto italiano , riguardo alle dinamiche delle app freemium e degli acquisti in-app.
Gaia Bottà